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IN PISCINA


IN PISCINA
La piscina è un supplizio che cerco volentieri, prima che alla schiena dà sollievo alla mente. Mi è sempre piaciuto il suo microcosmo umido di vapore, che m'imbozzola, mi separa dal mondo. Poi, una volta dentro mi annoio, perché il soffitto di una piscina non è il cielo del mare, mi provoca nostalgia d'estate, di altra acqua. Eppure amo quel benefico torpore che mi resta addosso quando ho finito ed esco all'aria aperta. Ma c'è una sensazione che si stende sopra il relax, ed è pesante, ed è fatta di solitudine. Specialmente qui dentro. Io non parlo mai con nessuno, nessuno conosco, a volte qualche faccia, di sfuggita, ma è raro scambiare più di un saluto. Gli altri vanno e vengono e sono tutti amici, tra di loro discorrono in dialetto si raccontano posti, situazioni, terze persone comuni e non hanno tanto bisogno di spiegarsi. Li sento, che si ritemprano. Sono vissuti sempre qui, nel vernacolo ritrovano la loro intimità. Se qualcuno si rivolge a me, invece, usa l'italiano, perché capisce che io il dialetto non lo mastico: non sono nativo, sono capitato qui a vent'anni, senza mai riuscire a sentirmi a casa. Neppure per un istante. Ed è una sensazione raggelante non sentire niente che ti appartiene, non sentirti appartenere a niente. Del resto, un po' apolide lo sono sempre stato: anche a Milano la mia cadenza era giudicata bastarda, non abbastanza genuina. Qui è lo stesso, ma a latitudine invertita. Ne esce sempre una conversazione forzosa, mai spontanea, fatta di poche frasi sputate: siamo sempre imbarazzati, l'altro quanto me. Ed io so che la distanza che ci separa, e corre sul filo del linguaggio, parte da me. Sono io l'importato, io l'intruso che non conosce il codice e rende difficile una relazione. Quell'italiano “di riguardo”, è sporco; è recitato, di circostanza, anche se rappresenta una forma di gentilezza, perlopiù inconsapevole, nei miei confronti. Io mi sento sempre un estraneo in piscina. Anche fuori dalla piscina, ma qui un po' di più, perché quando sei nudo non puoi sfuggire, neanche a te stesso. Mi viene sempre in mente Moretti, però non in palombella rossa, piuttosto quando dice, io anche con una minoranza di persone... Invece la minoranza sono proprio io. Una minoranza ai minimi termini, sempre nel posto sbagliato. Quando entro in vasca, metto sotto la testa, come a voler cancellare anche i pensieri. E nuoto, nuoto, e poi mi fermo, mi guardo intorno. Mi allaga l'inadeguatezza che da bambino sentivo, e che adesso è diventata la mia anima. Un'occhiata all'orologio sul muro, per vedere se i 40 minuti sono già passati.

Commenti

  1. Questa è una delle cose più belle che hai scritto, Massimo. Un applauso... ma silenzioso.

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  2. Ops, scusami Massimo, non mi sono firmato. Carlo Nalli, lettore affezionato e collega giornalista (attualmente "non praticante"), ci siamo scritti varie volte per e-mail. :-)

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    1. Sì, ricordo. Allora grazie, Carlo. Attualmente, a non praticare siamo in due.

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  3. Ciao Max, la tua sensazione è ben particolare....io lì non ci sono nato, ci ho solo passato una parte significativa della mia infanzia prescolare e poi tutte le vacanze,ho 45 anni di vacanze a Porto San Giorgio sulle spalle....eppure l'idioma locale lo conosco e lo parlo, correntemente, quando voglio, bene inteso, al solo scopo di confondermi fra gli indigeni...e funziona...te lo giuro...non immaginano neppure che sia un "bastardo" come te ...nè vero sangiorgese o fermano nè vero milanese....Davide, Milano

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    1. Lo so. Ma vivere in un posto non è come passarci, d'estate. Anche a me piaceva, in agosto. Non vedevo l'ora di venirci e non vedevo l'ora di tornare.

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