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THE EQUALIZER

THE EQUALIZER 
Questa volta voglio parlarvi di una serie del passato, quando non esistevano ancora (per noi spettatori) le paytv, i telefonini e internet. Una serie lontana, che probabilmente pochi hanno visto all'epoca, ma talmente bella – bella, senz'altri aggettivi – da meritare un posto nelle vostre serate. Sì, forse qualcuno ricorderà il mantra sprigionato da un annuncio sul giornale: “Hai bisogno di aiuto? Chiama il Giustiziere”. The Equalizer è un ex agente operativo della Cia, riuscito a sganciarsi dalla bolla dell'agenzia ma non da quella della sua vita. Tormentato dai rimorsi e da ricordi che spesso tornano a braccarlo con terribile consistenza, non meno che dalle propaggini dei Servizi che naturalmente non vogliono lasciarlo andare (se non in una bara), drogato malgrado tutto di morte e di vita, il Giustiziere ha scelto di spendere il tempo che gli resta dedicandosi ai deboli, gli autentici disperati che gli telefonano urlando. Quelli che non hanno più una possibilità, una speranza, una via d'uscita se non quel numero scovato per caso. E allora lui si precipita, e deve prima di tutto vincere la diffidenza di anime inchiodate, che non credono più al soccorso di nessuno, convinte come sono che al mondo nessuno fa niente per niente. Lui si precipita per le strade di una New York anni Ottanta, truce, violenta, in balia di se stessa, pullulante di feccia non meno che di agenti segreti di tutto il mondo travestiti da gelatai o frittellari, una metropoli che aspetta Rudy Giuliani o un diluvio per ripulirsi.
Il Giustiziere, un americano di ceppo irlandese, è più vicino ai sessanta che ai cinquanta, ma resta l'uomo più pericoloso in circolazione. E anche il più umano. Una macchina da guerra con un cuore che sanguina, condannata a concludere ogni operazione nel modo più estremo.
Robert McCall
E poi torna a rinchiudersi negli spiragli della sua clautrofobia, fatta di notte, di solitudine, di pochi locali fidati, sempre quelli, nient'altro che coperture di quella bolla a forma di Agenzia che non lo molla. E ogni volta è più ferito, perché non ne può più di ammazzare anche se vi è costretto. Robert McCall semina cadaveri di schiuma umana e amori stroncati sul nascere, perché non può permetterseli. Con una signora che ha appena salvato, e che vorrebbe saperne di più, si sfoga: “Tu vuoi sapere cosa faccio per vivere? Uccido esseri umani. Sono un giustiziere, ecco quello che sono”. Ad un ragazzo spaventato, che lo accusa di non voler eliminare il suo persecutore, urla disperato: “Lo sai cosa succede quando si uccide qualcuno? Non lo vedi semplicemente cadere, no, tu vedi la vita che lentamente si spegne nei suoi occhi. Hai privato qualcuno della preziosa possibilità di riabilitarsi. E quegli occhi non smetteranno mai di guardarti. Mai! Mai! Hai capito adesso?”.
Controllo
McCall non è un utopista, non è un buonista, è uno abituato a uccidere, ha vissuto ogni orrore per potere sperare ancora in qualcosa. Sa che non si possono aiutare tutti, che per un piccolo strappato alla disperazione di un lager per senzatetto, ce n'è un altro che lo guarda andar via, e ti guarda, e ti uccide. Ma è talmente saturo di male, di dolore, di crudeltà, da avere riscoperto una pietà perfino per i peggiori criminali (destinati a cadere sotto la sua giustizia). Non ha più niente da perdere né da vincere, ha solo macerie dietro e dentro sé. Al suo amico che dirige l'Agenzia a New York, e che naturalmente si chiama “Controllo”, dice: noi ci siamo persi tutto. Nelle sue guerre si muove da solo; eccezionalmente lo aiutano altri irregolari, primo fra tutti il giovane e spietato oriundo tedesco-polacco Mickey Kostmayer. Questo fantasma del Bene, molto più credibile di un Batman in una metropoli molto più realistica di Gotham City, si aggrappa ad un'idea quale che sia, come un naufrago a un relitto, e questo è tutto ciò che ha. Neppure suo figlio, che non gli perdona la vita precedente, riesce a volergli bene, e là fuori c'è un elenco telefonico dei peggiori faccendieri sulla faccia della terra che vogliono la sua pelle. Ma il Giustiziere ha un vantaggio su tutti loro. Soffre. Vive al di sotto e al di sopra dell'umanità, nel limbo di grandezza e di squallore che solo chi si è cimentato con una esistenza terribile conosce. Soccorre l'umanità dei normali perché di quella ha bisogno, per non restare solo con se stesso, per non arrendersi ancora all'uomo che è diventato, che è rimasto di lui.
Mickey
Eppure questo disperato, dall'anima rinchiusa in un abisso, non rinuncia ad uno stile impeccabile, ad un'ironia sempre squisita, da autentico gentleman. Gli serve a portare un poco di speranza a “clienti”, come li definisce, oltre la disperazione, che spesso finiscono travolti nonostante i suoi sforzi. Sono davvero rari gli episodi che si concludono in modo felice, non c'è quasi mai giustizia se non postuma, parziale; amara. Le vittime, anche quelle salvate, possono solo ripartire dalla loro rovina. A volte non basta: una puntata si chiude sul fotogramma del pianto tragico di una giovane tossica che non ce la fa a uscirne fuori. Un'altra, forse la più lirica e crudele, parla della recente piaga dell'Aids dall'angolazione più tragica: quella di un bambino malato e rifiutato dalla sua comunità. Dovrà pensare il Giustiziere a proteggerlo: e il piccolo con i giorni contati (ma con un Natale indimenticabile, regalatogli proprio dal suo salvatore) saprà essere di conforto al suo aguzzino, ormai distrutto.
Il Giustiziere in azione
Molti episodi affondano nella follia criminale, nell'alienazione, nella ferocia della stessa polizia e delle strutture sanitarie. Serie davvero cupa, fra le più spietate, che negava davvero poco alla realtà, tantomeno quella del mondo spaventoso dei Servizi segreti. Ed era proprio questa cruda onestà a renderla imperdibile, oltre alla fantastica caratterizzazione del protagonista. Tra le pieghe, si può anche constatare come internet fosse, già ai tempi, una realtà perfettamente matura e funzionante, sia pure nel ristretto ambito spionistico-militare e con strumenti meno raffinati di oggi.
La serie, interpretata da uno strepitoso Edward Woodward (morto nel 2009), doppiato da un Franco Zucca assolutamente all'altezza e affiancato da degni comprimari e ogni tanto da qualche guest star, da Robert Mitchum a Tomas Milian ad Adam Ant, rocker di moda in quegli anni, andò in onda nella seconda metà degli anni Ottanta offrendo puntualmente il peggio di una città cattiva e claustrofobica, con magistrale tecnica a tutti i livelli: scenografie, dialoghi, trame. In più, era impreziosita dalla martellante elettronica di Steward Copeland, già batterista dei Police. Esiste un cofanetto che racchiude l'opera omnia, ma non è doppiato in italiano e non è mai stato distribuito da noi. Gli episodi vennero trasmessi una prima volta su Rete 4, per poi venire riproposti, digitalizzati, su La7. Sarebbe bello venissero mostrati una volta di più, perché questo, anche a distanza di 25-30 anni, resta uno dei “drama” noir-spionistici più strepitosi di ogni tempo televisivo. Uno di quelli capaci di cambiarti in qualche misura la vita. 
Si parla da tempo di un film tratto da questa serie, con Russell Crowe nel ruolo del protagonista. Auguri, ma sarà difficile uscire vivi dal confronto con l'originale, con l'inimitabile impasto di umanità e violenza, di crudeltà e dolore di un uomo vittima del suo destino.
(riveduto e aggiornato dal Faro n. 10-2012)

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