ANDREA FRANCHI – LEI O CONTRO DI LEI
Se cercate un disco fatto bene, l'avete
trovato. Andrea Franchi ha la faccia del Pinocchietto toscano, che
non sai mai se è trasognato o se ti sfotte. Certo quando si mette a
far musica, diventa di una lucidità incatalogabile, lui è di quelli
che amano dipanare un tema, svolgerlo, farlo rotolare come un
gomitolo per poi riacchiapparlo alla fine. Un talento naturale per la
melodia inafferrabile, con sotto scansioni amoniche di accordi non
convenzionali. Qui, nel suo primo album da solo, che poi è pieno di
ottimi musicisti, manco a dirlo racchiusi in uno stralunato
“Collettivo Pupazi”, cui s'affiancano anche alcuni compagni di
strada, come Guglielmo Ridolfo Gagliano, con lui nel gruppo di Paolo
Benvegnù, Andrea si accredita di tutto tranne che la batteria
(eppure...). Come a concedersi spazi diversi. E il disco è una
fioritura di idee, di temi, di soluzioni, ora scarne ora aspre, qui
ricchissime là ostentatamente basilari (non lasciatevi mai
ingannare), con testi che oscillano tra lo stupore doloroso per la
vita agra e qualche invettiva per una società dissociata della
quale, probabilmente, non facciamo più parte. Si colgono suggestioni
tipiche di Benvegnù, a riprova che Franchi ne è parte integrante –
tutti i componenti il gruppo di Paolo entrano nel processo di
composizione – ma si percepiscono anche inflessioni personali,
privatissime qui. Canzone d'autore, che non teme di rispecchiarsi nei
Bindi, nei Tenco, ovviamente aggiornati ai tempi (classico, ad
esempio, il tratto della conclusiva “Uno come te”, con quei
trasporti di tonalità in continua ascesa a smentire il ripiegamento
su se stessa della bellissima e insidiosa melodia. Un inaspettato tuffo negli
anni Sessanta – sembra di leggere “La vita agra”, qualcosa che
Mina da anni va cercando, senza trovarla. E sbaglierò io, ma la
copertina dell'album insegue questo pezzo, la frenesia ingenua dell'epoca cui s'ispira,
certo neoconsumismo in technicolor, quelle imperdibili e perdute
suggestioni). Brani che non escono per caso, bisogna, uno, conoscere
bene la teoria musicale, e, due, dimenticarsela per approdare a
qualcosa di assolutamente tuo. “Il Franchi” sa come si fa, ha una
scioltezza nel dipanare matasse di melodie che pochi si sognano. Qui
dalla militanza nei Benvegnù recupera due episodi, che evidentemente
sente come maggiormente suoi, entrambi significativi e debitamente
trasfigurati (ma non stravolti): “Superstiti”, dall'ep “500”,
e “L'invasore”, dall'ultimo “Hermann”. Tutti da scoprire gli
altri 8 momenti. Disco fatto bene, certo, ma non solo: lavoro da
assorbire, per apprezzarne la classe, l'inventiva, la musicalità che
a volte pare disperdersi e invece è l'impressione che fa a chi
musicista non è. Perché in questa follia, un metodo c'è sempre.
L'ultima volta che l'ho visto, Andrea Franchi, proprio un attimo
prima di un secret concert dei Paolo Benvegnù nelle Marche, gli ho
confidato questa mia invidia per la sua capacità d'inventarsi brani
così amabilmente complicati e seducenti. Lui mi guardava fisso, poi,
col suo fare un po' svagato, perché è un timido, ha mormorato: “Ma
è facile, se conosci il trucco”. E a me mi è tornato il sospetto
che il Pinocchietto mi stesse amabilmente menando per il naso, ovvia.
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