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LICENZA DI SCEMENZA

Quanno ce vo', ce vo'

LICENZA DI SCEMENZA
Lungi da me l'intenzione di difendere Luca Barbareschi, che, al contrario, piglierei volentieri a calci: è solo che non capisco lo sconcerto se è lui che prende a sberle un provocatore. Perché qui non c'è notorietà che tenga, nessuna rilevanza pubblica giustifica la sopportazione di un idiota che ti tampina, ti irride, ti tormenta. Ma siamo onesti: chi è che, molestato senza requie per la strada, non reagirebbe in modo esasperato? Ora, non si capisce perché dei rompicoglioni a gettone con su la divisa delle Jene, di Striscia la notizia o di qualsiasi altro programmino pseudomoralistico, dovrebbero godere della licenza di stressare. Oppure quell'altro inspiegabile personaggio, Paolini, la faccia da schiaffi che come mestiere si è scelto le invasioni di campo televisivo: tutti ricordiamo con affetto Paolo Frajese che, con calma olimpica, si girò per mollargli una sacrosanta raffica di pedate nel culo. Spiegatemi: perché questi scemi dovrebbero essere intoccabili, ed anzi risarcibili? Ma non sono reati quelli che compiono? Questo non è il tanto invano scomodato diritto-dovere dell'informazione, se Barbareschi ruba il suo stipendio da parlamentare ci sono, volendo, organi deputati a farglielo risputare. Ma che sia la televisione ad assumersi il ruolo vicario di giustiziere, questa è una balla bella e buona ed io al codice televisivo proprio non vedo perché dovrei assoggettarmi. Per cui, in assenza di una tutela dalla follia, rivendico piena facoltà di difendermi a modo mio: in quale Decalogo sta scritto che basta indossare una livrea televisiva per conquistarsi l'impunità? Abbiamo maturato davvero un curioso modo di pensare: ci scanniamo per tutto e per niente, ma davanti ai paladini del nulla ci lasciamo infliggere qualsiasi violenza e se qualcuno si ribella abbiamo pure il coraggio di scandalizzarci. Come se la stramaledetta televisione e i suoi cretinetti dovessero passare sopra qualsiasi residuo di dignità, di educazione, di privacy. Come se io dovessi per forza divertirmi, stare al gioco del primo imbecille che mi rinfaccia una brutta figura, una malattia, un insuccesso o le corna. In compenso, la privacy si osserva scrupolosamente quando sarebbe cosa buona e giusta farne a meno. A Belluno, un malcapitato ha aperto un cartone del latte e dentro c'era un topo morto; l'azienza produttrice, anziché scusarsi, ha preteso la fotografia del ratto, trattando un cliente traumatizzato come un ladro. Qual è questa azienda così pericolosa non meno che tracotante? Mistero, non si legge da nessuna parte. Forse dovrebbero mandargli l'idiota con la collana di profilattici, o i parigrado delle Jene. Ma non ce li mandano: quelli non menano e tantomeno stanno allo scherzo, quelli querelano.

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