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MATURA 1983

 
Ero scoppiato diciotto mesi prima, grippato il cervello dopo un triennio di studi insensati, altro che matti e disperatissimi, 24 ore su 24, anche di notte, nel sonno ripassavo, ripetevo, memorizzavo da quel ragazzo insicuro che sono sempre stato. Pagelle da incorniciare, d'accordo, ma a prezzo di inesorabili esaurimenti: mi ci voleva tutta l'estate a rimettermi e una settimana, a settembre, per ricascarci. Poi, in seconda liceo, arriva una broncopolmonite che mi tiene in casa due mesi e quando torno i miei compagni hanno scoperto le feste e niente è più come prima. Feste davvero da ricordare, o dimenticare, non dico altro. Ma ho dimenticato quasi tutto, provvidenzialmente, per vergognosi stati d'incoscienza. Come un soffio arriva la maturità, la “matura”, appena dopo un viaggio-studio in Grecia che in realtà fu come un tour dei Rolling Stones. Neanche ci eravamo ripresi che è già tempo d'esami. Una lunga vigilia spesa a giocare a tennis, a ricevere gli amici nella casa nuova, un piano solo per me e mio fratello, ad ascoltarci i dischi, a vedere Video Music, ad andare per gelaterie la sera, ricordo da Viel, in piazza Castello dove i fighetti si sparavano i frullati. Eravamo adulti ormai, a un passo dalla matura!
La vigilia degli scritti cascava sul mio compleanno e già ch'era domenica ce ne andammo al Mundialito che si giocava a San Siro, naturalmente facendo le corse in macchina per mezza Milano, neopatentati imberbi, un miracolo la mattina dopo esser tutti lì, vivi e liberi al cancello della scuola in angosciata attesa. Aprono ed io ho un lampo di genio: “Vamos a la stura, oh, oh oh oh oh!” intono a gran voce echeggiando i Righeira. È un attimo. Un coro, ma che dico, un tuono, un rombo, una mandria di bufali si scaglia al galoppo nei corridoi, “Vamos a la stura, oh, oh oh oh oh!”. E per poco non ci “sturavano” tutti, me per primo: un miserabile 42/60 raccattai, io ex studente modello del ginnasio. Mi riuscì bene solo il tema su Leopardi, e fu quello che mi salvò. Agli orali ci fu chi, assistendo alla mia performance, si mise le mani nei capelli. Io uscivo tutto fiero, accolto con grandi complimenti da altri imbecilli come me. Qualcuno si dimenticò semplicemente di presentarsi e ci toccò buttarlo giù dal letto in fretta e furia. Ma anche così, la faccia gonfia di sonno, gli occhi cisposi, l'odor di letto addosso, portò a casa il suo bravo 60, certi compagni erano geniacci sul serio. L'esame di ciascuno era quello di tutti, magari ci eravamo odiati, o sofferti, o ignorati ma quella era la prima vera prova della vita e ci coglieva insieme, ci riguardava in blocco. Li vedevo diplomarsi uno dopo l'altro con una fitta che faceva male ad ignorarla, sapevo che in breve non li avrei più rivisti, sapevo che qualcosa di me moriva lì, il mio tempo più bello e più insicuro.
Se ci penso adesso mi pare assurdo e mi pare uno scandalo: ma come si può non saper più niente di gente con cui sei cresciuto, che è stata la tua vera famiglia, ti piacesse o meno, per cinque lunghi anni di allegra galera? Ma non so più niente di nessuno, tranne uno o due con cui vado invecchiando.
Una volta al mare, m'innamorai e al ritorno Milano non era più Milano: non la volevo più. Venne un giorno a trovarmi la fanciulla più bella della città e del Carducci, Rossella che ironicamente era la nipote di Carlo Rambaldi, quello che creava i mostri per il cinema. Venne a trovarmi e mi fece la dichiarazione. Lei a me! Una di quelle bizzarrie del fato, perché “Picchio”, quello delle caricature, quello che la domenica va in chiesa e non sopporta le bestemmie, disperata voglia di vivere sempre da ricostruire, cubista incrocio tra Battiato e Pippo Franco, veniva mandato in avanscoperta come si fa con la bellezza quando è troppo radiosa, e fa paura. Partivo, naso in resta, Lancillotto, anzi Cyrano, senza speranze, senza niente da perdere e a forza di avanscopare, senza scopare mai, ero diventato disinvolto, simpatico, uno che s'inventava sempre qualcosa, uno che ci sapeva fare anche se poi non concludeva mai. E adesso eccola qui Rossella, mia dea, mio luce, mio sogno mai osato, che mi fa le storie. Ma io sono mr. Onestà, penso alla ragazza lasciata al mare e già mi sento colpevole e la respingo abbassando gli occhi; lei fa una faccia stravolta, incredula, non penso le sia più capitato nella vita, farfuglia qualcosa e se ne va offesissima. Rossella la metallara, una Bo Derek quindicenne col “chiodo” con su scritto “Saxon” inondato da una fontana di capelli di grano, era pazza di Ozzy e la volta lo conobbe credo che impazzì lui (non era proprio come me).
Quando lo racconto ai miei ex compagni, che ho appena respinto la Saxon, mi saltano addosso, mi riempiono di botte, di sputi, anche calci nei coglioni.

Commenti

  1. massimo, quello che siamo ci orienta nella vita e ci fa diventare le persone che siamo.
    le scelte fatte con il cuore e con la pancia sono ben diverse da quelle fatte con gli ormoni.
    nella vita quante volte ti è capitato di prendere decisioni per poi dover rifiutare ancora altre "rossella"?
    credo che sia scritto nel nostro destino.

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  2. Troppe volte. Ma ogni tanto, avrei dovuto andare dove mi portava l'ormone.

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  3. tornassi indietro, ora come ora, dopo la matura m'infilerei in un seminario....meglio asciarla perdere la figa...porta solo guai...e poi casa e lavoro certi per tutta la vita e magari anche un po' di onori...la Chiesa è sempre la Chiesa e non ti lascia mai !

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  4. Beato te che hai questi ricordi... Io in 5 anni ho cambiato 3 scuole, ho fatto gli ultimi 3 anni in un prestigioso collegio milanese. Arrivai da outsider, in un contesto di squali dove un giubbotto della North Sails blu o un Woolrich faceva la differenza tra chi contava e chi no. Io non lo avevo, così come una disponibilità economica nettamente inferiore a certi figli di potentissimi. Mi sono rimboccato le maniche e ho guardato solo a me stesso, indifferente a tutto e tutti. Uscii con un votone, ma al momento dei saluti post-consegna del diploma provai una sorta di malinconia: una parte della mia vita era finita e a me sembrava di non averne goduto appieno, come quando durante le vacanze estive ti viene la febbre.
    Di Rosselle la scuola era piena, ma con le poche con cui ebbi la sfrontatezza di farmi avanti finii in un disastro fantozziano.
    Con l'università molte cose cambiarono, oggi vorrei tornare indietro e mettere una mano sulla spalla a quel ragazzo insicuro ed impacciato, guardarlo dritto fisso negli occhi e dirgli: non valgono un cazzo, nessuno di loro.

    Massimo

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