Vediamo di capirci. Qui
nessuno vuol fare l'incompreso e tantomeno il genio incompreso,
quello che ha doti troppo grandi per venire colte. Qui si tratta solo
di attitudini. Certi lettori proprio non ce la fanno a intendere,
forse è la malafade che ad alcuni fa velo, ma si comportano come se
bazzicassero da anni i giornali, dei quali invece non sanno niente;
ti vengono a dire, tipo teorema giudiziario, che “non potevi non
sapere” e poi concludono: non avrei mai immaginato. Mentre ti
attaccano addosso la patacca al demerito, si appuntano la medaglia al
candore. Uno ripete ad nauseam che, fin che può, scrive, lavora,
deve pur sopravvivere il che non è facile e, specie se distante,
tante cose non le sa e non le può sapere, mette in conto certe
disinvolture fisiologiche dei giornali e amen. Niente, parole al
vento, in un imbuto, parole boomerang. Si vede che ci siamo divertiti
tutti per una vita a farci prendere per il culo. Davvero dovevamo noi
sostituirci agli sgherri di Befera, di Equitalia? Davvero dovevamo
partire dubitando, immaginando il peggio delle peggio cose? Davvero
dovevamo capire, con la genialità retrospettiva di qualche “vorrei
ma non posso” (o magari qualche portinaio da forum, al quale a
questo punto converrebbe guardarsi in guardiola), dagli editoriali di
uno che si vantava d'andare a donne, una situazione amministrativa
che stressa i tecnici (e sulla quale, Padreterno, certi saputelli non
perdonarli perché non sanno cosa dicono)?
Si potrebbero obiettare tante
cose per demolire simili pregiudizi, figli del fatto personale, della
coda di paglia, qualche volta della bassezza. Si definiscono
antagonisti, alternativi, rivoluzionari ma finiscono per difendere i
“padroni”, il sistema, il “così fan tutti”. Nessuno li
obbliga a leggere, a prendere posizione ma intanto ti dicono che sei
patetico, che hai rotto i coglioni, come se tu fossi un privilegiato
anziché un precario a vita con tutto quel che ne consegue. Certi
sillogismi per cui, essendoci fatti fregare, non avremmo più facoltà
di parlare, sono impagabili. Certe aporie per cui
non si discute la competenza in quanto non si discute l'incompetenza,
sono deliziose. C'è chi è riuscito a dire: hai talento, hai
genialità, sei in buona fede, però sei stupido (e si legge: siccome
non sei stupido, non ti credo). Logica illogica, algebra esistenziale
per la quale noi, a differenza di voi, siamo, dovremmo essere
macchine razionali, le accendi, le spegni, le riaccendi e son pronte
a macinare. Se fai presente che la fisiologia umana non funziona a
questo modo, ti accusano di discolparti. Insomma, debbono trovarti
qualche colpa pur che sia. Ma non è che, a proposito di sospetti
obbligatori, quello che irrita, che fastidia, pur nel malcelato
compiacimento, è il demolire nostro malgrado una favola bella alla
quale si è creduto, noi come voi, un po' troppo a lungo? Non è che
conviene dirottare la delusione che si prova adesso, pur di trovare
un caprio espiatorio? Non è che arruffa il pelo sentirsi con le
spalle al muro, costretti, di sponda, a modificare antiche
convinzioni su una passione personale, sulla politica, sulla vita (e
sui pubblici finanziamenti)? Coraggio: si cresce anche così, noi
come voi.
Anche se a volte è
traumatico. Per noi più che per voi, credeteci. Mi limito ad una
semplicissima chiave di lettura: chi passa la vita sui dischi,
ammucchiando cartelle su cartelle per un solo album, che magari pochi
conoscono, non è tanto normale; non lo è di più chi si ostina con
accanimento a rovinarsi il sangue su faccende politiche
immutabili e irrisolvibili, come la plastica sull'acqua. È gente che
mette la scrittura, il poter scrivere, al di sopra di tutto. Genii?
Per carità. Coglioni? Ma sì. Però, per molti di noi questa è
stata la vita. Per qualcuno no, c'è sempre chi, conoscendo i suoi
limiti, impara presto a costruirsi una reputazione sotto la quale c'è
il nulla. Ma non tutti usano questo mestiere come trampolino; c'è
anche, e se certi lettori stenteranno a crederlo è un problema loro,
c'è anche chi se ne lascia ostinatamente usare. Consumare. Sperando,
si capisce, in qualcosa di meglio. Ma intanto lavorando. Scrivendo.
Sfogando una passione. Cercando di sopravvivere tra lutti, casini,
disastri quotidiani che non danno tregua.
Non c'era solo quel
contesto, quel giornale cui badare. Oggi nessuno può più permettersi di concentrarsi su un solo lavoro. E nessuno è così ingenuo da credere che i
giornali siano enti di beneficenza (i quali, peraltro, sono a loro
volta autentiche fucine d'imbrogli); anzi, e questo è un punto
decisivo quanto trascurato, in questo sistema che si dice democratico
e sempre pronto a denunciare il pericolo di regime, la regola per i
sommersi è farsi sfruttare. Cresciamo con questa consapevolezza nel
dna, sapendo che non ci si può fare assolutamente niente, che le
belle parole e le belle manifestazioni di piazza sono regolarmente
per i salvati, per le star milionarie da talk show. Ho lavorato 12
anni con un quotidiano nazionale, occupandomi di tutto e rischiando
la pelle senza ritegno: mi dicevano, testuale: se ti fai ammazzare è
solo una rogna. E aggiungevano, i colleghi democratici: domani c'è
sciopero ma tu, che non sei assunto, lavori lo stesso, poi i pezzi ce
li porti dopodomani. Cominciai nel 1990 a diecimila lire lorde ad
articolo, me ne andai nel 2002 a 5 euro lordi a pezzo. Senza mai un
giorno di ferie. Senza uno stramaledetto diritto che fosse uno.
Quando funziona così - e funziona sempre così - ti costringi a
moltiplicare le briciole pur di avere qualcosa da mangiare. È chiaro
il concetto?
Stando così le cose, è
tutta questione di limiti. Che a volte si presumono, salvo venire
smentiti quando è tardi. Nessuno di noi aveva immaginato roba che
poi è stata raccontata, e mai rinnegata, dai diretti interessati.
Tutti ci siamo disperati, ci stiamo disperando a buoi scappati dalla
stalla. Come diversi lettori, peraltro, cui neppure l'evidenza
tardiva era bastata per salvarsi dalle ultime sirene.
Adesso ci stiamo facendo
un culo quadrato per ricostruire, per capire. Noi, anche per voi.
Non è esercizio facile, in nessun senso: rischiamo di far la fine di
Lou Reed, che s'è appena trapiantato un fegato quasi fuori tempo
massimo. Ma prima, non sarebbe stato possibile, per un miliardo
ragioni, la prima delle quali è: o scrivi o indaghi. Adesso, vi va
di sapere? O preferivate poterci accusare di avere taciuto a
oltranza?
Non sempre il tempo
possibile è il qui ed ora. Vorrei fosse considerato un ultimo,
impercettibile dettaglio: sul forum dello stesso giornale con cui
collaboravo, sono stato boicottato e diffamato per abbondanti 10 anni
(senza mai intervenire, senza replicare una sola volta), nella
tolleranza, evidentemente, di chi dirigeva. Cosa facevo, querelavo il
mio stesso direttore e la sua segretaria? Orrore! Scandalo! Mi
avrebbero accusato di sputare nel piatto dove mangiavo e chissà che
altro. Montarono ad arte un polverone, dandomi di censore già per avere
“denunciato wikipedia” (niente vero: denunciai anonimi su
wikipedia, mai la piattaforma direttamente). figurarsi il giornale dove collaboravo. E, naturalmente, il gioco continuava contando su questa
impasse, era così divertente sfogarsi contro uno che era solo,
isolato (altro che “braccio destro del direttore”: alla precedente puntata), che tanto non reagiva mai. Ma neppure questo veniva “perdonato”.
È che anche nella
polemica, andrebbe mantenuto quel minimo di correttezza: il “ti sta bene, te lo meriti”,
per quanto stupidamente meschino, lo si manda giù, le velate accuse
di complicità o di connivenza o di “distrazione”, proprio per
niente. La corrente velenosa, mai espressa ma sempre percepibile
sotto il pelo dell'acqua, per cui avremmo assecondato un sistema
quantomeno discutibile fino a che ci ha fatto comodo, s'infrange
contro lo scoglio di una logica facilmente tracciabile: basta
verificare chi ha dato e chi ha avuto. E in quale misura. Mi pare
che, chi più chi meno, tutti ci abbiamo rimesso. Qualcuno
davvero fino in fondo. O senza fondo.
parole sante. La gente purtroppo non ti perdona l'integrità che hai sempre manifestato e oggi non vede l'ora di "fartela pagare"
RispondiEliminaTi ringrazio. Tu la storia la sai, la conosci da vecchia data...
RispondiEliminaCiao Massimo, Guglielmi ha scritto più volte che l'entità dei contributi si conosceva. A questo punto il concetto di "siamo tutti sulla stessa barca" era falsità che si poteva cogliere anche allora. Io, che vi ho letto per 13 anni, capisco che avete continuato perché il progetto era valido, perché poteva essere un trampolino, perché comunque quei due soldi per voi erano importanti. Non ci trovo nulla di poco dignitoso in questo. Però mi chiedo perché è uscito fuori tutto adesso e non magari durante la campagna "io sto con il Mucchio" o meglio ancora prima?
RispondiEliminaL'entitàdei contributi si conosceva, il loro uso no: ci veniva spiegato che se ne andavano tutti in spese di produzione del giornale e relativa distribuzione. fanno fede i compensi che si ricevevano, e che venivano periodicamente addirittura ribassati; perché sia uscito tutto adesso l'ho scritto per tutto questo lunghissimo articolo, e mi pare anche con una certa chiarezza: posso solo aggungere che dire che "i bilanci sono sempre stati resi pubblici" fa ridere, quello è un obbligo di legge ma un bilancio messo lì è solo la casa del Mulino Bianco vista da fuori: adesso siamo entrati, nostro malgrado; infine, sulla campagna "io sto col Mucchio" non posso risponderti, perché me ne andai prima; posso solo aggiungere che, nel mio blog, avevo manifestato tutto il mio scetticismo, per usare un eufemismo. venendo ovviamente tacciato di livore, invidia, meschinità. a volte, a chi mi chiede "perché non hai paralto" mi verrebbe da ribattere: "perché non hai ascoltato?".
RispondiEliminaMassimo puoi continuare con il presupposto "se non sei convinto significa che non arrivi a capirlo", ma questa vicenda - nonostante questo tuo ultimo articolo - a molti non è ancora del tutto chiara. Ho capito che non andavi (com'è normale che sia) a spulciare i bilanci, ma qui le cifre sono macroscopiche. Se incassi 200 e approssimativamente potevi al massimo spendere 80-90 o 100, qualche domanda sul resto dovevate farvela. Insomma il punto non è "non si poteva non sapere", ma "non si poteva credere". Insomma, dai, non serviva un'inchiesta per capire che i soldi c'erano e da qualche parte finivano. Non penso fosse impossibile stimare le spese di una cooperativa così piccola, capire che le non potevano essere così tante e che le risorse in realtà venivano "investite in altro" piuttosto che ricompensare i collaboratori? Non conta come e dove.
RispondiEliminaPoi considera che non seguo il tuo blog da sempre, se tu hai già scritto questo anni fa mi scuso e in caso non è un problema tuo la poca risonanza. Ma rileggendo di nuovo l'articolo e le tue argomentazioni, lasciati dire che non vedo ancora il senso della "denuncia" ora, se non quello di informare - una volta per tutte - quelli come me hanno letto il Mucchio e magari si sono pure abbonati.
Alzole braccia, bandiera bianca. Tu, che mi dici "non si poteva credere", probabilmente sei uno che ha creduto, e finanziato, oltre ogni evidenza. E sdesso "incolpi me". Anche di non avermi letto per tempo.
RispondiEliminaC'è un meschino, certo Federico Piva, che, sulla bacheca di un altro fuoruscito dal Mucchio, scrive che io lo convinco pochissimo e che non potevo non essere complice delle disinvolture del direttore del Mucchio, di cui ero “braccio armato”, nientemeno. Uno così è solo uno con l'animo del pezzente, e dovrebbe avere le palle di darmi del ladro a un metro dalla faccia: non su un profilo facebook estraneo, dove io, per scelta, non intervengo mai a regolare i casi miei. In ogni modo, siccome questo cuor di leone specifica di essere “vicedirettore di banca” (e il complesso del vice si fa sempre sentire), mi considero autorizzato a sospettarlo di qualsiasi faccenda dovesse eventualmente perpetrare la sua banca o addirittura il gruppo che la possiede: a maggior ragione visto che lui sta in loco, non a trecento chilometri di distanza, e di sicuro prenderà uno stipendio adeguato, non i due soldi che mi avrebbero reso un farabutto.
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