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LE MANICHE FATTE SU


Oggi pomeriggio non avendo guai freschi da tappare ne abbiamo approfittato e siamo andati al mare. Ho fatto il bagno in un'acqua torbida, poco ospitale. Nel momento preciso d'impattare il mare, una visione: mio padre giovane, rincasa stravolto e appagato, la giacca sul braccio, le maniche di camicia fatte su; sorride. Mi sono sentito in colpa, come se avessi rubato quel momento d'estate: io come lui non sono stato mai, ho avuto momenti anche impegnativi, faticosi, ma senza mai l'impressione di sbattermi davvero, di darmi da fare per una causa, una famiglia, un contesto. L'utilità di quello che metto insieme è sempre un po' fine a se stessa, ammesso poi che ci sia, io libero parole, vendo parole, non solide realtà, come dice quello che spaccia case. E tecnicamente non sono mai andato a lavorare, quando ho cominciato il telelavoro, la mia condizione, era una situazione da sfigati, adesso è il più ordinario dei mondi possibili. Una sola volta ho avuto la sensazione d'essere utile, di vedere nettamente cosa stavo facendo: e fu un giugno, che mi mandarono in trasferta a Macerata a seguire un accoltellamento di albanesi e dopo una domenica convulsa uscivo dalla redazione che il sole stramazzava sui palazzi ed io, nel viale animato solo dalla mia ombra, mi dicevo: oggi mi son guadagnato la giornata. Avevo una giacchetta sul braccio, e le maniche fatte su.
Da allora troppe estati son passate, tutte uguali: cioè non c'erano, io, che tecnicamente non ho mai lavorato, non mi son mai preso ferie, ho sempre frullato tutto, di fatto sacrificando l'idea stessa di vacanza, di pausa. Curiosamente, i miei anni più difficili sono stati i primi, e, curiosamente, d'estate: anche qui a Fermo, per emulazione, scoppiava la mania delle inchieste amministrative, che non avrebbero portato a niente ma intanto c'era da seguirle tutti i giorni per tutto il giorno, s'arrivava a sera, io e il mio amico Fausto che stava al Messaggero, disfatti di attese, di pezzi, di pettegolezzi, di polemiche, di fisiologico odio degli inquisiti, di telefonate fra noi e poi la sera, dopo cena si usciva ancora, come due disadattati, due monatti che finivano per parlare ancora degli stessi fatti e personaggi bazzicati o raccontati per tutto il giorno. Alienati e un po' ambigui o così ci vedevano, nessuno voleva accompagnarsi con noi se non per lo stretto necessario a cogliere qualche indiscrezione, qualche anticipazione. Insomma eravamo percepiti come puttane. In tribunale ci insultavano fingendo ironia: voi non siete come gli altri, non siete gente che lavora sul serio, siete jene, siete sciacalli. Un po' magari avevano ragione. Io mi sentivo che giocavo, la gravità e anche il pericolo di quello che facevo mi sfuggivano, non avevo la percezione di informare una comunità, rischiando nel contempo di rovinarne alcuni elementi. Invece ricordo un entusiasmo ingenuo e contagioso all'epoca di mio padre, tutti quei padri che rincasavano la sera stravolti e felici, la giacca arrotolata sulle maniche di camicia arrotolate, poi magari non facevano niente, perdevano gran tempo come si fa nelle grandi aziende e nelle grandi città (ma pure nelle province torpide), sbagliavano più di quanto combinavano, però insomma non c'era, io almeno non la vedevo, quella frustrazione fantozziana, vedevo in tutti, anche i più cupi e incazzati l'orgoglio del proprio lavoro, e delle ferie d'estate, e dei tramonti meritati a giornata finita. Quel deamicisiano piacere della fatica conclusa, magari concedendosi una innocente evasione con una bionda della pubblicità. Adesso trovo solo una società dissociata, tutto sfilacciato, disarticolato, gente incanaglita, tutti si lamentano di quello che fanno, nessuno è contento, nemmeno i giornalisti e i ladri.

Commenti

  1. l'immagine che descrivi di tuo padre è l'icona di un mondo che non esiste più...un mondo in cui i padri si sobbarcavano l'onere e l'onore di sostenere economicamente una famiglia e, pur tra difficoltà, lo facevano comunque egregiamente,ne ricavavano soddisfazione....grazie al lavoro di un padre si compereva una casa, si andava in vacanza, si acquistava una macchina, i figli studiavano, si viveva con la prospettiva di un futuro roseo, perchè il benessere materiale che tutti i giorni rientrava in maniche di camicia era qualcosa di tangibile che serviva anche e soprattutto per stare insieme..pur tra alti e bassi si stava insieme, anche perchè quelle maniche di camicia erano le sole nelle famiglie degli anni '60 e '70 a portare a casa quel benessere e quel senso di felicità comune ad esso collegato, una felicità forse effimera, ma importante e fondante....oggi invece c'è lo sfacelo e della famiglia e del lavoro e i padri, ammesso che lavorino, sono solo dei poveri cristi...il loro orgoglio è stato fatto a pezzi e il loro onore pure....le mogli vogliono divorziare per depredarli e, se non li depredano, li umiliano, i figli allo sbando non li riconoscono, il lavoro è sempre più instabile, gli affetti si frantumano....siamo tutti connessi, on line, chattiamo pure al cesso, ma dove cazzo vogliamo andare in un mondo siffatto ?

    Davide

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