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MORIRE DI SANITA'

Ripropongo un'inchiesta fatta uscire su un giornale musicale verso la fine del 2011, poco prima che me ne andassi (è roba mia, quei galantuomini non meritavano niente e oggi non meritano scrupoli). La ripubblico qui per una ragione precisa, che scoprirete se avrete la pazienza di arrivare in fondo a questo lungo pezzo. Così lavoravo io su quel giornale, così ho lavorato per 14 anni durante i quali mi hanno sistematicamente mentito e preso in giro: di soli ristoranti, ed è l'esempio più innocente, quasi divertente, si mangiavano in un mese quello che io non vedevo in un anno (e comunque, a un anno di distanza, visto che, contro tutte le leggi, venivo saldato a 12/14 mesi). Miracoli dei fondi pubblici dell'editoria.


"Anticipato dall'Adn Kronos, esce il 24 ottobre un rapporto atteso e temuto, quello Commissione parlamentare sulla malasanità. Il rapporto non delude: negli ultimi due anni 329 pazienti morti per errori del sistema sanitario. Sedici accidenti al mese, più di uno ogni due giorni, domeniche comprese. Da fine aprile 2009 al 30 settembre 2011, 470 casi critici, che in 329 occasioni avrebbero fatto registrare la morte del paziente, o per errore diretto del personale medico e sanitario, o per disfunzioni e carenze strutturali. Secondo il rapporto, 223 sono i decessi legati a presunti errori medici e 106 a inefficienze di vario tipo. Ma il dato più impressionante è quello che colloca la metà del numero totale dei decessi in due sole regioni: Calabria (78) e Sicilia (66). Seguono Lazio con 35 morti, Campania con 25, Puglia con 21, Toscana con 18, Emilia Romagna con 16, Liguria con 14, Veneto con 13, Lombardia con 11, Valle D'Aosta con 9, Abruzzo con 7, Piemonte con 4, Umbria con 3, Friuli Venezia Giulia, Basilicata e Sardegna con 2, Trentino Alto Adige, Marche e Molise con 1. La classifica di generica malasanità, d'altra parte, rispecchia quella dei decessi: se su 470 casi monitorati, 97 si sono verificati in Calabria e 91 in Sicilia, 51 vengono accusati nel Lazio, 32 in Puglia, 31 in Campania, 29 in Toscana, 28 in Lombardia, 24 in Emilia Romagna, 23 in Veneto, 20 in Liguria, 10 in Valle D'Aosta, 9 in Piemonte, 7 in Abruzzo, 4 in Umbria, 3 in Marche, Basilicata e Friuli Venezia Giulia, 2 in Molise e Sardegna, 1 in Trentino Alto Adige. Il fenomeno, continua il rapporto, sembra addirittura in crescita, se si considera solo l'ultimo anno, durante il quale la media dei casi di presunta malasanità è salita: da 16 al mese (calcolati su 2 anni e mezzo) si è passati a 19. Segno di pochi controlli, di poco rigore, di scarsa severità conseguente ai sinistri, insomma non paga nessuno e il sistema è confortato nel suo sfascio delittuoso.
Gli episodi di malasanità però non sono sempre riconducibili all'errore diretto del medico; spesso sono originati da disservizi, carenze, strutture inadeguate, generiche lacune del Servizio sanitario nazionale che la Commissione cataloga come "altre criticità". Su 144 casi totali registrati in tutto il Paese (che potrebbero aver causato 106 vittime), 34 riguardano gli ospedali siciliani, 23 le strutture del Lazio, 15 quelle della Calabria. E ancora: 13 casi si sono verificati in Puglia, 9 in Lombradia, 8 in Veneto e Campania, 7 in Emilia Romagna e Liguria, 6 in Toscana, 4 in Valle D'Aosta, 3 in Piemonte, 2 in Abruzzo e Sardegna, 1 in Friuli Venezia Giulia, Basilicata e Molise. Nota positiva: sono tre le regioni in cui - al momento - non si sono registrati casi di malasanità di tipo, per così dire, strutturale: Trentino Alto Adige, Umbria e Marche.
Messa, così, la situazione è da tregenda. Eppure non è tutto di lacrime il pianeta della (mala)sanità. C'è anche chi è felice, chi prospera e gode, finché c'è dolore c'è speranza. E la soluzione per la felicità è semplice, se ne trova uno specchio in un libro uscito da poco per Kaos, “Dossier Clinica degli Orrori”, sulla vicenda, incredibile ma non troppo, della famigerata clinica Santa Rita di Milano. Medici pagati a cottimo, però non come precari: a ricovero, a intervento, a percentuale sul rimborso giornaliero per la riabilitazione, sull'intervento compiuto sul paziente. Medici indotti ad enfatizzare diagnosi e cure, ad imporre, con la suggestione della scienza, le operazioni più evitabili e traumatiche. “Assassini”, vengono definiti in confidenza dai loro stessi colleghi, dalle segretarie che sanno tutto, dai manager degli incubi dove succede di tutto e tutto viene occultato. E più i pazienti sono vecchi, più vanno bene perché un vecchio, se si lamenta, è nell'ordine delle cose e poi muore presto e non protesta. Non protestano i parenti. I vecchi della Santa Rita, e chissà se solo di quella, finivano la loro vita come cavie, depositi morenti di chiodi, di placche, di protesi inutili. Bancomat del dolore, carte di credito della vivisezione umana. “Si osserva un dinamismo quasi aggressivo nel ricorso all'opzione chirurgica”, scrivono i giudici, per dire che i pazienti venivano immediatamente messi all'angolo appena si presentavano, mentre tentavano di esporre i loro sintomi, le loro inquietudini. Una tecnica collaudata, che ricorda quella dei campi di concentramento. C'è bisogno di precisare che non tutti i medici si comportano così, che gli scrupolosi, gli onesti, i bravi restano maggioranza e salvano vite? No, non c'è bisogno, si scade nella retorica più annunciata, ma lo facciamo lo stesso. Se mai, serve ricordare che certi medici erano così; e serve chiedersi quanti fossero, e quanti ancora sono, nell'omertà di un sistema che, sintomaticamente, all'esplodere dello scandalo Santa Rita ha fatto quadrato al grido: non siamo i soli, andate a cercare altrove, nella dilatazione delle responsabilità che porta al “molti colpevoli nessun colpevole”.
Ma fino a qui siamo nell'orrore doloso, di chi macellava sapendo cosa faceva. Altre le responsabilità dei medici incompetenti, pericolosi perché sfornati da Università che premiano non la capacità ma l'appartenenza. È un segreto di Pulcinella che i mali della Sanità cominciano sui banchi delle aule, nei laboratori, nelle cliniche universitarie e poi continuano con lo spoil system politico per cui i primari, i dirigenti vengono tutti nominati per appartenenza. “Dobbiamo prendere quelli fedeli a noi”, diceva il clan Mastella in uno dei frequenti scandali che li investono, e che poi magicamente finiscono in cavalleria. La Sanità campana, ceppaloniana si reggeva sulla fedeltà, ma non era un'isola infelice, in Lombardia i medici che contano sono quasi tutti ciellini e su questo stesso giornale abbiamo parlato, un paio d'anni fa, di un libretto rimasto ignorato, “Comunione e Liberazione – Assalto al potere in Lombardia” (BePress), di Enrico De Alessandri, già direttore del Centro Regionale Emoderivati della Regione Lombardia, il quale raccontava tutto il potere di CL nella Sanità lombarda, con particolare attenzione per il “caso Niguarda”. Così in tutte le Regioni, senza eccezioni o con eccezioni trascurabili. In Sicilia la sanità privata dietro rimborsi pubblici è un business in mano alla mafia, medici-industriali erano quelli dell'entourage di Provenzano, più strutture private a Palermo che in mezza Lombardia.
A volte le concause, dolo e colpa, cinismo e incompetenza, si fondono creando risultati fatali. Noi siamo abituati ai decessi ospedalieri incredibili, evitabili, per interventi di routine, una appendicite, una tonsillite, un parto, oppure per infarti non diagnosticati, la gente che casca fulminata sulle scale del prontosoccorso dopo essere stata dimessa. Ci siamo abituati e siamo abituati alla franchigia generale per cui, anche in questi casi, nessuno mai paga davvero, negli ospedali scatta la solita falange romana a difesa dei medici incapaci o felloni. Il sistema sa che tutto quel che deve fare è resistere, aspettare, poi le acque si calmano e tutto continua come prima: di malati disperati ce ne saranno sempre, pronti ad affidarsi a chi è lì per aiutarli.
Ci sono le leggi, i regolamenti, i giuramenti, le carte, le metolodogie che vincolano i medici a precisi comportamenti in funzione di precisi doveri. Sono colossali foglie di fico, fatte di carta, di parole, giochi normativi dei quali all'occorrenza farsi beffe. Assumono un suono crudelmente derisorio in chi un giorno ha scoperto che il sacrificio di un suo organo non serviva, o che ha cullato in pancia una garza, un paio di forbici per 20 anni. Chi scrive sa cosa accade ad un uomo in queste condizioni: è il principio di una devastazione a catena, organi che si contaminano a vicenda, fisiologie che si pregiudicano reciprocamente, farmaci per combattere il male che scavano altri mali. È la condizione del martirio, del calvario, pienamente vissuta. E poi, andare a dimostrare lo scempio, risalendo le cause al princìpio, è fatica impossibile e inutile per i poveri, cosa che i vampiri, sorretti da avvocati, periti e consulenti, sanno benissimo. Bisogna che lo scempio sia collettivo, clamoroso, che travolga centinaia di pazienti, che emerga a livello sistemico, come alla Santa Rita. Altrimenti, il singolo malato, malato di Sanità, mai avrà soddisfazione, per quanto tale si possa chiamare una giustizia che cade su un corpo distrutto, non di rado morto.
Quello che stupiva, nei medici dell'orrore della Santa Rita, era il cinismo estremo, efferato, qualcosa che è raro riscontrare negli stessi serial killer. La catena di sant'Antonio dei corpi da martoriare, per spremerne soldi, li aveva presi completamente, non ci vedevano più esseri umani ma solo carne da seviziare per un'altra macchina, un weekend esotico, un lusso in più. Tutto questo emerge nelle sentenze pubblicate da Kaos, ed è questa banalità del male a fare più orrore delle stesse torture. Ma come si può stabilire con certezza nell'aridità di un processo se un intervento era opportuno, urgente o inutile? Anche qui, la decisione non è pacifica come potrebbe sembrare, si entra nel campo delle valutazioni, delle ipotesi che la scienza, più che escludere, spesso lascia coesistere. Il medico può sempre obiettare: ho valutato secondo coscienza, ed è una probatio quasi diabolica riuscire a smentirlo. Tanto è vero che questa è stata la linea difensiva del chirurgo Brega Massone e dei suoi bracci destri. Si parla di neoplasie, di patologie potenzialmente gravi o letali, dove vincere la scommessa del tempo è fondamentale. Questa urgenza, con le paure connesse, era il presupposto per il massacro, e non sempre soccorrevano le intercettazioni, da cui pure emergeva la volontà di operare a qualsiasi costo e con qualsiasi pretesto.
Carne da macello: qualcosa lascia sospettare che l’orrore della clinica Santa Rita di Milano non uscisse da un lager isolato ma dal nodo di una rete: di solito, chi organizza certi abomini sa di poter contare sull’omertà diffusa che nasce da una pratica condivisa. In quanti ci sono passati? Molti in questo Paese hanno qualche parente che ha percorso la sua Via Crucis per le stazioni della Medicina, perdendo ogni volta qualche pezzo. Quando non è toccato a noi stessi. Un bel giorno, malato, entri in una clinica, ti affidi alle mani sapienti di chi la dirige, credi di consegnarti al tuo possibile salvatore. E non sai che sei già entrato nel tuo inferno, che il tuo salvatore ti sta guardando per capire quali pezzi di te asportare, come amputarti meglio in modo da ottenere rimborsi non dovuti dal sistema sanitario pubblico. Stai morendo di Sanità e non lo sai.
Del resto, che qualcosa di tremendo girasse per le corsie della Santa Rita, erano anni che si sentiva mormorare. Possiamo immaginare come finirà, una volta archiviati anche i processi? Ma certo, la magistratura condanna, in appello limeranno più di un po', alla fine i macellari potranno riprenderanno da dove li avevano interrotti, forti di una bella campagna che rilancia l’immagine del dottore buono, umano, di campagna, con lo stetoscopio e i baffi grigi e i capelli bianchi e gli occhiali, un caro, vecchio nonno che ti salva la vita. Un po’ come i preti quando scoppia qualche scandalo pedofilo. I medici sono un’altra casta di intoccabili, come succede ovunque ci sia un potere organizzato, lobbistico, che infiltra il Parlamento. Siamo sempre noi al loro servizio, mai il contrario. Anni fa mi capitò di sentire una mediocre dottoressa del San Raffaele teorizzare senza ironia che loro, come casta di superumani, dovevano avere licenza di uccidere, e non potevano essere ricondotti a responsabilità se lasciavano di tutto nella pancia di un paziente. Pareva una proposta delirante, ma l’ha ripresa dopo gli ultimi orrori un sottosegretario. Intanto, il San Raffaele...
Il bravo don Verzè si dava da fare. Don Verzè, che Giorgio Bocca chiamava “don Mazzè”, sospeso a divinis per una lunga sequela di truffe e disastri finanziari, riuscirà ad imporre il san Raffaele come un fiore all'occhiello – questo gli va riconosciuto – non solo nella cura, anche nella ricerca scientifica. Ma a quale prezzo? Un miliardo e mezzo di debiti, il crac dietro l'angolo, l'intervento provvidenziale dello Ior, la famigerata “banca dei preti”, ma nessuna certezza (i preti non fanno mai niente per niente, neanche fra di loro). Il futuro dell'ospedale San Raffaele sta in un provvedimento del Tribunale fallimentare, 30 pagine inaudite nella casistica giurisprudenzale. I giudici Filippo Lamanna, Roberto Fontana e Filippo D'Aquino hanno accolto la proposta di concordato preventivo (accordo con i creditori) presentata dallo Ior e dall'imprenditore Vittorio Malacalza per salvare il colosso sanitario fondato dal prete manager don Luigi Verzé. Ma le clausole del decreto lasciano aperta la porta a nuovi investitori. Il fallimento è stato evitato, ma mai s'era visto prima un concordato vincolato da tanti «paletti». Riserve che distruggono le speranze di un salvataggio incondizionato nutrite dagli uomini del cardinale Tarcisio Bertone, dallo scorso luglio insediati nel cda della Fondazione Monte Tabor, alla guida del polo ospedaliero. Con la presentazione di un'offerta vincolante e irrevocabile da 250 milioni di euro liquidi, l'auspicio dello Ior e della famiglia Malacalza era di un nullaosta del Tribunale, e andare in gloria. Niente da fare, i giudici non si sono fidati, il loro provvedimento, di fatto, induce una cordata in extremis di nuovi, eventuali soci interessati a guidare il San Raffaele nell'epoca post don Verzé. Come a dire: voltate pagina, voltatela davvero, non potete lasciare una struttura del genere nelle fauci degli stessi squali che l'hanno spolpata. La proposta di concordato sottolineava il salvataggio dei quasi 4000 posti di lavoro, nonché il soddisfacimento integrale dei creditori privilegiati e il pagamento degli altri per quote tra il 52 e il 60%. Ma, a fronte di allettanti promesse come queste, i giudici non si sono lasciati commuovere, mostrando di condividere le perplessità della Procura che aveva presentato una drastica istanza di fallimento. Sull'iter del concordato, se le previsioni saranno confermate, saranno chiamati a vigilare anche tre commissari giudiziali.
Anche per il disgraziato San Raffaele urge un lifting all'immagine, come quello della Santa Rita, la cui normalizzazione dell’incubo non tarda un attimo. Ancora prima del processo, gli inquisiti definiscono se stessi martiri ed eroi, senza imbarazzo. I colleghi scrollano le spalle, infastiditi. Il personale della clinica inveisce perché ci va di mezzo, «abbiamo tutti famiglia». I pazienti continuano ad essere percepiti come prima. Carne guasta. Carne morta. Non c’è un solo ripensamento, una sola voce di imbarazzo. I massacrati vengono usati per spettacolarizzare l’orrore, come alibi, come esorcismo. L’Ordine sospende i reprobi, neppure per sogno radiati. Come a dire che a tempo debito verranno reintegrati con tutti gli onori. Radio, giornali e televisioni vengono mobilitati in un battage in favore della clinica splatter e più in generale per la Sanità nazionale. Fioriscono le trasmissioni per esaltare la sanità lombarda e chi la gestisce, con le velone del giornalismo a spalmare tutto di burro, a dire che tanto questa non è malasanità ma solo casi di crimine isolato. Se poi era un crimine. La percezione generale è che non sia successo niente di importante, i malati sono ancora vivi e allora che altro vogliono? Siamo alla superstizione del male, al sadismo e alla libidine della maledizione. I mostri che toglievano e rimettevano i pezzi a caso ridendo, «chissà questo quanto soffrirà per il resto della vita», rischiano di uscirne, alla fine, più potenti di prima. Confortati dal crisma dell'invincibilità. Verranno sommersi da nuovi pazienti che li imploreranno di farsi massacrare. Perché sono ormai celebrità. Grideranno al complotto con le loro mani sporche di frattaglie umane. Arriveranno forse al Parlamento, alle istituzioni. Sono eroi. A Torino, un chirurgo radiato sette o otto anni fa è tornato, alla chetichella, in sala operatoria. Ne ha dato notizia “la Stampa”, dorso locale. Reazioni dei cittadini-pazienti: non pervenute.
Dicono, dalle parti delle Molinette, che in realtà stiano tornando tutti, uno dopo l'altro, tanto chi ci fa caso, chi se ne accorge? La situazione parte da lontano e arriva lontano, s'intreccia con la condizione delle Università, simili a cosche o trattorie a condizione familiare, nel senso mafioso: un luminare a Milano ricattava i malati finché uno di loro non gli ha sparato, a Bologna fra mammasantissima della medicina si mandavano missive corredate da proiettili. Metodi che tradiscono una mentalità, un contesto: quello del malaffare, della malavita.
Dalle agenzie: È stato condannato a 15 anni e sei mesi di carcere l'ex primario Pier Paolo Brega Massone al processo milanese per la vicenda dei presunti interventi inutili eseguiti alla clinica Santa Rita al fine di gonfiare i rimborsi da parte del servizio sanitario nazionale. I giudici della quarta sezione penale del Tribunale hanno inoltre dichiarato Brega Massone interdetto in via perpetua dai pubblici uffici e condannato i suoi due «aiuti», Fabio Pietro Presicci e Marco Pansera, rispettivamente, a 10 anni e 6 anni e nove mesi di carcere. Brega è stato interdetto anche per 5 anni dalla professione medica. Per l'ex primario i pm Grazia Pradella e Tiziana Siciliano avevano chiesto 21 anni di reclusione. L'accusa parlava di lesioni volontarie e truffa ai danni dello Stato in una «clinica degli orrori» in cui sono accadute cose «inspiegabili e inaccettabili», con una «equazione fra pazienti, o meglio, pezzi anatomici dei pazienti e soldi» e senza «commiserazione per coloro che si erano affidati ai loro medici».
Tutto questo accadeva il 28 ottobre 2010. Giusto un anno prima del drammatico rapporto della Commissione Parlamentare sulla malasanità. Dal quale si evince che, nel corso di quest'ultimo anno, successivo agli orrori della Santa Rita, la salute della (mala)sanità italiana non ha fatto che peggiorare".

Contestualmente all'uscita di questa inchiesta, il giornale riceveva email piuttosto insofferenti nei miei confronti da dipendenti della clinica del tutto indifferenti agli orrori che in essa venivano sistematicamente perpetrati; neppure per gli animali (fortunatamente) si raggiunge un tale disprezzo, ma quei pazienti, ignari di finire nell'orrore più profondo, una volta sezionati e uccisi non interessavano più a nessuno. Il 15 gennaio del 2014, si è saputo che l'ex primario della Santa Rita, PierPaolo Brega Massone, è stato scarcerato dopo 4 anni scarsi di reclusione, interrotti da alcuni permessi premio, a causa di baruffe tra giudici. A parte la macelleria su 96 pazienti, è attualmente imputato di 4 omicidi, ma non dispera di riprendere presto in mano il bisturi. 

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