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Visualizzazione dei post da febbraio, 2014

Dream pop, l'evoluzione della psichedelia - CULTURA

Dream pop, l'evoluzione della psichedelia - CULTURA

PIU' SCHETTINO PER TUTTI

Lo sanno quelli che si mascherano da Schettino che aveva ucciso 32 persone tra cui una bambina, rimasta a lungo a marcire nella nave affondata? Lo sanno e la cosa evidentemente li diverte. Ma sì, siamo tutti Schettino!, e giù un immondo rimbombare di trombette, tricchetracche, petardi nella più gioiosa tradizione dello sbraco nazionale. Tutto un Carnevale, macabro, grottesco, ma che sia Carnevale, dai forconi ai grillini agli imbecilli da talk show agli snob che a Venezia noleggiano i vestiti costosissimi, prima delle loro preoccupazioni, fino ai poveri che si accontentano di un costume cinese da comandante fellone. Come a dire: meglio un maiale, un personaggio repellente, ma personaggio, che l'anonimo nello specchio al mattino. Siamo tutti Schettino vuol dire l'allegro riconoscersi laidi, lui uno di noi, noi come lui se appena ne abbiamo la possibilità. Tante isterie sui valori intramontabili e usurati, dalla Costituzione alla resistenza all'antifascismo perenne e str

BATTISTI

Veleggiando a bordo dei miei occhiali (Sono stanco, troppi aprile ho visto) Mi rinfranco, raggiungo il tuo sguardo C'è qualcosa che non scordo mai Un gol da rivedere in moviola I profili di una aiuola di noi Suoni a fiori sbocciano a canzoni Semplici intracciabili arabeschi La fontana di lontane stelle Pare il colmo, zampilla di più Basta un canto d'uomini celesti Risentirti che sei ancora tu Del mio film in bianco e nero il divo Non mi manca più niente, io bevo Ogni singolo momento d'amore Inconsulto per l'insulto di vita Che a singulti piove e vola via Vivo un cielo ingenuo, mi rinasce Mi c'infilo ora che il tempo rompe La mia angoscia. Ed è quell'attesa Che ricuce il giorno con la sera Le canzoni grandi come sogni Stringono città, campagne, il mare E il futuro che non è più qua Ma se piango non sarà importante Se tutto quanto è un giocattolo rotto Le mie mani non lo sanno aggiustare E fu inganno il lu

CACCIA ALLA STREGA

L'Italia è il solito paese coerente nell'incoerenza: tutti sbraitano contro la gerontocrazia, poi se arriva un premier di quarant'anni scarsi lo pigliano per il culo, gli suonano “Non ho l'età”. Stessa sorte, con accenti diversi, per i ministri femmine. Intendiamoci, le debite perplessità, l'uomo le induce: la sua compagine tradisce un che di leggerino se non di superficiale, e lui personalmente non lo senti mai avventurarsi in un discorso di cultura solida: nella sua furia riformatrice, nel suo intento di alleggerire una burocrazia metastatica, ricorda più un Jovanotti che un Mises, un Hayek o un Bruno Leoni (eppure tanto basta a terrorizzare una paleosinistra inguaribilmente nostalgica). Lo stesso argomentare per cui “Renzi è l'ultima spiaggia, se non ci fidiamo di lui è finita”, è l'irrazionalismo della speranza e come tale scricchiola: potrebbe essere finita a prescindere, per gli scettici cronici come noi l'impressione è che questi siano tutti

LUCIO DALLA

Sono andato così, con la testa sott'acqua, una volta di troppo, una volta di più, domani starò male ma oggi ero felice, son passato così, lungo un viale ciclabile, si sono accesi i lampioni e c'ero solo io, un merlo m'ha guardato poi è volato via, io lì come uno scemo a farmi compagnia ma non mi riusciva bene, c'erano le rondini però non le sentivo, c'erano due uomini ma io non li vedevo, neanche loro mi vedevano, mi sentivo invecchiare come fanno i bambini, mi sentivo sbiadire, cancellare dentro, son risalito in macchina, c'era una canzone, non ho capito se le gocce erano sul vetro o negli occhi. Succede sempre così, va a finire così, s'ammala l'inverno ed io mi condanno così, la stessa voglia di riscoprirmi ancora, spiando le gemme chiuse con dentro primavera, un altro anno è passato, uno va a incominciare, più vecchio e giovane il mondo se si riveste di te. Guardo la sera e torni, non sei andato mai via, quelle canzoni eterne, la tua immensa poes

Sanremo, tra Spoon River e l'usurato sicuro - CULTURA

Sanremo, tra Spoon River e l'usurato sicuro - CULTURA

IL FARO 7/2014

Viaggiano per la rete, ma non solo: occupano poltrone (fino a 24 con un culo solo), redazioni, tavolate al ristorante. Perfino aule di tribunale, in svariati ruoli. E se confessi che vuoi farla finita, c'è subito l'esemplare perfetto che risponde: ma no, ci sono tante cose belle in tivù. Ecco qua un campionario, arrabbiato come da tradizione. Per fortuna qualcosa si salva e ci salva: analisi del nuovo, ottimo disco di Brunori Sas . Il Faro 7, in spedizione via email agli abbonati da sabato 22 febbraio. Il Faro, l'elettrorivista di MDP. Il Faro vi fa male ma vi fa bene, perché vi fa godere

ALLA FINE

Li riconosci subito. Hanno laghi negli occhi, di dolore, di sgomento, di stupore. Li riconosci quegli sguardi vacui in apparenza, che tradiscono il disagio di sapersi in ritardo, sempre compatiti, sempre tenuti un po' indietro, a volte troppo avanti. Si portano addosso un odore patetico, denso e inconfondibile. Nessuno vuole stare con loro. Vivono rinchiusi in una fotografia, c'è un cantante che li abbraccia, e ingiallisce ogni giorno, ad ogni sguardo. Momenti d'ingenua beatitudine custoditi nei diari che nessuno legge, pieni di niente, sono le loro reliquie patetiche, le mostrano a parenti che non vogliono saperne, ad amici che proprio amici non sono, che non vogliono entrarci in quelle camere atroci dove c'è tutto che manca, c'è tutto che stona, i santuari strazianti della claustrofobia. Ma loro s'illudono, con disperata forza, perchè nel loro stare indietro qualcosa capiscono, l'essenziale lo colgono: io non sono come voi, io debbo venire dopo, nessu

KURT COBAIN

Tutto arriva tardi nella vita Anche quello che non è arrivato Anche le grida d'un rimorso inutile Che ti rendono ipocrita allo specchio Tutto è vecchio se ti senti vecchio E il domani, quello che rimane Te lo spendi a orecchio, tra incertezze E illusioni di un'eternità Quanto pesa adesso la coscienza Da asciugare con una bugia? Le carezze già tremano in mano Per un gatto, un vuoto di presenza Senz'appello, impalpabile ormai Troppo fragile il poco che sei Più domande che risposte ancora Ma misteri non ne cerchi più Albe varchi sempre un po' più scialbe Sposti i giorni come dei bauli Ingombranti di sogni e rimpianti Lunghi e dritti, canne di fucile Poi segni sull'anima le tacche Degli sbagli del vivere a orecchio Ti addormenti, quando ti addormenti Inseguendo chi non fosti mai Visitando posti del dolore Che non furono felicità Ma che fa? Ormai non corri più Hai sgranato il rosario d'errori Libero e perde

RINO GAETANO

Io so fare solo cose inutili Come questo mio cilindro vuoto Imbottito di canzoni al sole Cose che già sanno fare tutti Cose che non servono a nessuno Come definirle non saprei Forse nuvole, disperate nuvole Immobili conati di realtà Dove affondo cullato dalle onde D'una lacrima che ti avrò strappato Io non sono un uomo equilibrato Non ho storia, solo le emozioni Le occasioni riscattate mai Mi sconvolgo a bordo d'un fuoco Che ho nel cuore da quando son nato Mi ci gioco tutto e già sospetto Che di certo ne uscirò distrutto Cosa faccio qui davanti a voi Voce mendicante un po' di luce Vecchio sogno di fantasmi pregno Incapace di non essere io Specchio rotto, schegge dappertutto Sentimenti troppo trasparenti Figlio dell'orgoglio, d'un coraggio Che non serve e che mi fotterà Sono qua. T'offro i miei fumetti Nuvole perfette d'impazienza Piene di parole che rovesci Scrosceranno sulla mente tua Se vuoi. S

Festival di Sanremo 2014, eterno amarcord senza canzoni - CULTURA

Festival di Sanremo 2014, eterno amarcord senza canzoni - CULTURA

Festival di Sanremo 2014: l'Italia canta i diritti e li dimentica - CULTURA

Festival di Sanremo 2014: l'Italia canta i diritti e li dimentica - CULTURA

Csi, Magnelli racconta la reunion e il tour - CULTURA

Csi, Magnelli racconta la reunion e il tour - CULTURA

GABER

Quella Milano marzolina lì Pareva fatta per le tue canzoni Me la ricordo in cartolina, sì Scritta nel cuore dei nostri destini I tavolini di Porta Romana L'attesa ingenua d'una settimana Per una liturgia di tre colori Le moltitudini fuori San Siro La domenica poi a riempire i tram A sparpagliarsi ancora un poco in giro E dentro i bar a bestemmiar la sera Che arriva lunedì mattina, 'ndemm E' una vendemmia intinta nello smog Eri per noi come un raggio di sole Nello spastico rock industriale Eri una cartolina che suonava Ed un viale non faceva paura Non so perché non t'è bastato più Giù duro a far politica anche tu Come se non servisse più il sorriso Come se non bastasse più quel naso T'avvitavi in disperate farse Ma la vita forse non ci priva Del mistero a cercar di fermarla? I tarli nelle tue certezze allora E una conferma a pezzi, appartenere Solo al pianto di chi non ha casa Non ha chiesa e non ha teatr

IL FARO 6/2014

Numero cattivo. Insofferente. Perché vedere i ladri che fanno la morale, fa incazzare. E poi i cretini in fibrillazione, che non mancano mai. Ma si parla anche di animali, la parte buona della vita, che riusciamo ugualmente a corrompere di umanità. Il Faro, l'elettrorivista di MDP, ogni sabato nella vostra casella di posta elettronica.

CIORAN

M'hai ingannato così, non essendoci Io per calcolo non ho fatto niente Per disperazione, non per calcolo “ Ridammi il tempo, ridammi il mio tempo!” Cercavo il segreto nel pulviscolo Nelle ombre rantolanti nel vicolo Nel vincolo di un'agonia mai chiesta Negli aghi irraggiungibili di piante Che a guardarli ferivano gli occhi Ora mi resta solo la paura Una gran paura che non serve La rifletto nelle immagini sorde Sono io quegli occhi feriti E orgogliosi, ero io e non sapevo Quanto priva di senso è questa vita Ogni vita, ogni immagine sorda Più assoluta della stessa morte Quando il tempo è caduto e le macerie Ti ricoprono e non c'è luogo salvo Non c'è parola che non sia muta, svuotata Se ha ingannato un angelo malato Nato senza le ali per fuggire Per scendere in picchiata e colpire Perché gli hai detto d'essere sconfitto Di gioire del sangue ed aspettare La tua mano sapendo che non c'eri? Ora l'anima lang

"IL TUO LIBRO MIGLIORE..."

ebook, disponibile via Amazon , Smashwords , ecc.  Qualcosa è cambiato a Milano? Sì, adesso i telefoni prendono anche nella metro, e non sono più telefoni ma piccoli computerini, smartphone li chiamano. Risultato: faccio una pausa mentre leggo il libro sulla rossa verso Turro, mi guardo intorno ed è tutta una massa di  smanettoni che pigiano compulsivamente gli smartphone; senza distinzione, studenti, impiegati, pensionati, extracomunintari, tutto un su e giù con i pollici con gli sguardi da pesce surgelato. Io per adesso sono un salvato, uno di quelli che vengono da fuori, dalla provincia, usano la città da lunedì a venerdì e poi via a casetta. Ma so che può essere un attimo, una ristrutturazione aziendale, un licenziamento e in un attimo (o attimino?)  si passa dalla parte dei sommersi. Cosa mi ha fatto questo libro? Mi ha sconvolto, sì, ma non basta, mi ha fatto non aprire gli occhi (quelli non li ho mai chiusi), però ora vedo con occhiali diversi questa città. E poi sai una

GENTE CUTRI'

Figlio mio non ti arrendere, diceva mamma Cutrì all'indirizzo del boss liberato con azione da fumetto a Gallarate, un commando che assalta la scorta in pieno Tribunale, un fratello dell'ergastolano che resta sul terreno ma lui riesce a fuggire. Figlio mio non ti arrendere, fallo per tuo fratello, dice mamma Cutrì, a suo modo mamma coraggio, orgogliosa di quella famiglia da fumetto, tre fratelli tutti nel crimine organizzato: Davide caduto nel blitz, Nino subito catturato con l'accusa d'aver coperto la latitanza di Domenico. E dove stava costui? In un tugurio a Inveruno, vicino a dove abitava, vicino a quella madre che lo incitava a non consegnarsi, sepolto in un caos sudicio, cartoni a fare da giaciglio, neanche i barboni di Simenon, che dormono sotto i ponti della Senna, sono ridotti come lui. I carabinieri lo vanno a prendere a colpo sicuro, con Domenico anche il luogotenente Luca Greco, l'ultimo del commando armato, che non oppone resistenza. E già avevano f

IL FARO 5/2014

... non è mai felice. Il Faro spiega, sotto diversi punti di vista, perché. Il Faro, l'elettrorivista di MDP spedita agli abbonati via email da sabato 9 febbraio.

Freak Antoni, elogio di un genio demente - CULTURA

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Che Sanremo che Fa - CULTURA

Che Sanremo che Fa - CULTURA

Clash, arriva il docufilm sul gruppo punk - CULTURA

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ALLA FINE

Ho letto i tuoi libri su vari artisti mi sono piaciuti ma volevo chiederti per te alla fine chi è stato il migliore in Italia.  (non firmata) Per il genio puro, Lucio Battisti. Per il talento e la ricchezza della vicenda artistica e umana, Renato Zero. Adesso è diventato calligrafico e amministra se stesso, ma quando faceva Masaniello transgender... Quella roba lì non si tocca, quella roba lì rimane. E' nostra. 

NON M'IMPORTA

Come un cane sotto la pioggia Così m'hai lasciato al mio mondo Come un cane sotto la pioggia Così m'hai tolto dal tuo mondo Come un cane sotto la pioggia E' questo tutto il tuo coraggio Amore m'avevi giurato Fra i tuoi baci pazzi, ricordi? Appena la stagione è morta Due volte m'hai spezzato il cuore Eccomi qui, sotto la pioggia E il cielo non promette niente Che il ritorno all'incubo per me Io ricordo l'odore di pioggia Ora so che non se n'è mai andato Dal mio corpo, anche il fiato è bagnato Così sporco e non m'importa più Se è infetta la ferita al fianco La pioggia ci scava un pantano Di sangue bianco all'alluvione D'ogni traccia di te che manca Stanco di camminare invano Più stanco d'aspettarti invano Il fiume nella città scorre Indifferente alla mia agonia Forse qualcuno mi travolge Non mi toglierò, non farò niente Sputato fuori dal tuo mondo Senza una domanda, una risposta Come un gatto sotto la pioggia Costretto alla caccia che n

CRONACA DI UNA LATITANZA (CON CATTURA)

Avere giustizia, sperare giustizia dallo Stato colabrodo è una fatica da niente, un vivere surreale in attesa di una ancor più surreale eterogenesi dei fini. Nel basso Lazio acciuffano un balordo, un figlio di papà latitante da 7 mesi a seguito di condanna per concorso nell'omicidio di un coetaneo al termine di una faida giovanile, operazione che viene illustrata nella classica conferenza stampa delle grandi occasioni, senonché la storia del Fantomas all'amatriciana che per sette mesi fa perdere le sue tracce e poi viene rintracciato dalla polizia, che controlla le auto dei parenti in visita, può andar bene per chi legge i giornali, ma non per chi ci scrive sopra da 25 anni. Tanto per cominciare, non torna che di questo balordo nessuno sapesse più niente. Per il semplice motivo che il ricercato poteva mandare patetiche mail intimidatorie al sottoscritto, che si era occupato del caso, subito seguito dai parenti (i quali a questo punto dovrebbero venire indagati per favoregg

RANTOLARE

Uno poi prova a chiedersi il senso, a trovare il senso di una tragedia da niente, un gatto che si uccide venendoti contro e ti dicono che non hai colpa ma tu pensi che l'hai fatto soffrire, che moriva nel suo sangue e sei stato tu a colpirlo, sei stato tu cagione, strumento, incidente del male, hai assistito al suo spaventoso trionfo e mentre un essere alieno ti guarda morendo, senza nessun rancore, senza ricordarti che da te promana il suo strazio, rimani interdetto e la visione della tua impotenza di scoglio disperato riemerge, si staglia, implacabile torna, l'impatto di un attimo che ti aspettava da quando sei nato, aspettava il gatto da quando era nato, ha condannato lui e la coincidenza esiste nel momento che accade e diventa insostenibile e misteriosa, esce da se stessa, pretende le sue ragioni. E allora provi a capire, a cercare un significato, un punto fermo, qualcosa che migliaia d'anni di filosofie e di religioni ti hanno sempre agitato davanti senza spiegart

HO UCCISO UN GATTO

Ho ucciso un gatto. Un bel gatto giovane, ancora piccolo. Ho visto un missile uscire dall'oscurità, il tempo di sentire il colpo contro la Vespa ed era già successo. Mi sono fermato, sono tornato indietro e c'era questo esserino nel suo sangue che scorreva sul ciglio della strada. Rantolava come un cristiano. La vita che se ne andava e lui che fremeva come a non volersi rassegnare, come a volerne trattenere ogni goccia. E il suo corpo pieno di vita fino a un attimo prima, il suo corpo già morto diceva: non voglio morire. Mi sono messo a urlare, è venuta giù una ragazza e ha detto: meno male, temevo fosse il mio. È rimasta lì. Non sapevo cosa fare, ho chiamato mia moglie, poi la nostra amica veterinaria, poi il servizio veterinario del Comune. Io lì seduto nel buio, come un bambino o un demente, le macchine che mi sfioravano, e il gattino che sembrava morto e invece respirava. Con l'occhio fisso che si specchiava nel sangue ma ancora fremeva. Il rantolo mi ricordava quello

DAL MUCCHIO A L43

Caro Massimo, ti seguo da anni e alcuni ringraziamenti te li voglio finalmente fare. Babysnakes è uno dei pochi motivi per i quali avvio il pc al di fuori del lavoro. Grazie per i piacevoli e dettagliati racconti sul tuo passato, che mi affascinano e nei quali in qualche passaggio, mi rivedo. Grazie per i commenti spietati e rabbiosi sui fatti che avvengono. Spesso nelle tue righe, leggo esattamente quello penso ma non sarei in grado di esprimere con la stessa dialettica e chiarezza. Grazie per i tuoi articoli documentati e sinceri. Grazie per aver scritto sul "mucchio" al quale ero abbonato (e lo sono stato per molti anni); pian piano mi sono accorto che cercavo subito la pagina con la firma madelpap@... argomenti scottanti affrontati con coraggio e preparazione. Grazie per i consigli sulla musica legati anche a Lettera43. Gli ultimi dischi che sto ascoltando li ho pescati dalla tua lista... Insomma, grazie. Un caro saluto, Vincenzo

ILFARO 4/2014

Un Paese paralizzato. Dove niente si muove. Dove niente va smosso. Il suo specchio è la televisione nazionale, detta servizio pubblico, incredibili predite, vertiginosi sprechi, ma pur che nulla cambi. Quanto costa non fare? Costa prezzi altissimi, e comunque e sempre più che fare, agire, muoversi. Intanto, il Paese si sfalda, crolla, affoga, si annienta. Fino a quando? Il Faro n. 4 spedito via email agli abbonati da sabato 1 febbraio. Il Faro, l'elettrorivista di MDP

LA SENTINELLA

Perché voi non capite il dolore Che rapito dalle mie parole Si contorce, vi viene a cercare Perché non lo vedete sanguinare Nella striscia rossa del mistero D'una croce fissa al cimitero Della vita, perché non capite Quello che sto cercando di dire Che sprofondo, che non resto al mondo Questo intrico di rami ammalati Che si tendono al cielo impotenti E blasfemi, perché non vedete La disperazione dappertutto E senza pudore la straziate D'ottimismo greve come un rutto Che rispetto avete dell'eterno Derelitto Cristo che v'inchioda Ad una lealtà che vi fa orrore Voi nel vostro inferno di preghiere Per salvarvi, lasciare ad un altro Il compito ingrato dietro al vetro Della sentinella che consuma Lo spettacolo degli occhi sviati Tra le macchie d'un vicolo cieco Perché mai v'immedesimerete Per un lampo, il tempo d'un pensiero Nell'esilio d'un volto lontano Perché non capite il mio dolore Ch'esi

IL TEMPO NON ASPETTA NESSUNO

Un mondo a forma di giardino, un giardino che era tutto il mondo. Un quadrato di cemento dove crescevamo, protetti nel nostro piccolo mondo fuori dal mondo. Era stata buona l'intuizione del padre del mio amico Lucio, un geometra alto e grifagno che i figli chiamavano “il falco”, tre palazzi, tre “lotti” collegati da un vialetto che separava collinette erbose piene di lampade, vegetazione e gatti e al centro quel fazzoletto definito dalle siepi e da un muro che in estate diventava una poesia di Montale, dove le madri potevano controllare, dove imparavamo l'amicizia e l'infatuazione, dove a sera il portinaio Alfredo veniva a battere le mani: a casa, ci vediamo domani. Il Lucio, con fare padronale, faceva disperare l'Alfredo, gli scaricava sul bancone certi mazzi di chiavi da sei chili ed era, diciamolo pure, strafottente. Aveva un fratello più grande, il Giulio, coi capelli sul collo, che non si vedeva mai, anche Lucio scendeva poco e così andavo io da lui, nel sanct