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A MOMENTI


Sinestesia: vuol dire pensare per immagini: e non sapevo da bambino di andare più in là pensando per sinestesie, sensazioni di sensazioni. Mi hanno sempre aiutato le canzoni a questo gioco, ogni musica uno scenario dell'anima. Ma la musica ha bisogno di una quinta per liberare la sua potenza evocativa e la quinta può essere vera o immaginata o suggerita o evocata; voglio giocare con chi mi legge, proporgli una stralunata raccolta fatta di ricordi, di impressioni, di compromissioni per poi capire se è contagiosa, se quelle sinestesie alienate possono insinuarsi, venire comprese, provocare lo stesso abbandono. Secondo disco dei Three Mile Pilot, The Chief Assassin to the Sinister, tutto l'album ma in particolare la prima traccia, Shang Vs. Hanger: mettetela su scorrendo il primo albo di Diabolik, quello dei disegni precari, stilizzati di Zarcone, il misterioso “Tedesco” che dopo aver consegnato le tavole scomparve, neanche ritirò il compenso e nessuno lo vide più, giallo nel giallo, fumetto nel fumetto. In quelle vibrazioni strozzate s'agitano i primi anni Sessanta, in nerofumo, in grigio, di crudeli ingenuità, di modernità atroce, di feroce voglia di vivere e di uccidere. Non c'è altra colonna sonora per quei disegni, la musica sembra scritta apposta per loro. Provate. Verificate. Così come sfogliando il concorrente diretto, Kriminal, più fondo, più umido di violenza a inchiostro, non posso non legarmi alle pozzanghere nere, scintillanti di riflessi, di Baker Street di Jerry Rafferty. Ho anche un altro frammento legato a un fumetto: Daniel, l'ispettore tormentato e spietato con la faccia dell'ispettore Callaghan, cioè di Clint Eastwood, lo lego ancora a Gone Hollywood dei Supertramp: fine della frenesia anni '70 celebrata con sontuosa eleganza dai Supertramp, e quell'album, Breakfast in America, aveva dei testi così disperati, erano gli sconfitti a parlare, quelli che non si salvavano più, i macinati dal tritacarne della modernità americana. Altre piccole sinfonie sono ancora più personali. Finalmente vado a scuola, è proprio il 1970 e da qualche parte ho sentito una musica ossessiva, che fa spavento, che mi inquieta, però m'intriga: ci metterò decadi a scoprire che si tratta delle ossessioni le ossessioni ambigue, eccitantissime, di Help, I'm a rock, da Freak Out!, l'incredibile esordio di Frank Zappa. Circa un decennio dopo pedalo nel sole del lungomare di Lido di Fermo, nelle cuffiette mi gira Non va che volo di Umberto Tozzi e non credo d'essermi mai più sentito più abbandonato a me stesso di così. Estraneo al mondo, io ero quella malinconia che non sarebbe guarita. E se torno in Vespa dove c'era il molo di Porto San Giorgio, e adesso han fatto un porto intero, pieno di pescherecci, non posso, anche senza walkman, non posso non avvertire nell'aria ogni volta Chiedi di più di Renato Zero, chissà, forse un gabbiano, un bagliore del sole al tramonto hanno tatuato nella mente quel momento e non me ne libererò. Di quel disco intero, Tregua, assorbo ancora il profumo del legno dei mobili a poco prezzo che arredavano la “casetta del mare”, di lì a poco rifugio e prigione per un tempo infinito. Così come non c'è modo di cancellare la serena disperazione che mi riporta Soma degli Smashing Pumpkins quella volta che, reduce dall'ennesima delusione di cuore, mi giurai: basta, davvero basta, mai più cercare niente altro che disillusione, per nulla al mondo ci ricascherò ancora. Ma ecco, sto entrando in sala operatoria e l'infermiera mi fa smettere il lettore cd che rimanda una ironica Cut your hair dei Pavement: non vado a tagliarmi i capelli, sto per farmi tagliare il naso per rifarmelo. E quando, due settimane dopo, mi sbenderò, trovando nello specchio un trentenne diverso, non so come, non so perché ma la musica che mi attende è Black dei Pearl Jam. Frank Black, invece, coi suoi Pixies, con il loro Bossanova, avvolgono l'intero anno di servizio civile in comunità, anche se il momento più dolcemente malato fu, e resta, Is she weird, carillon per un addio nello splendore notturno di Monteverde acceso dai fiorai (c'ero ricascato). E se per me lo stadio di San Siro sarà sempre un'ombra colossale da cui sgocciola il blues insanguinato di Down in the hole (da Emotional Rescue, dei Rolling Stones), carico di spettri milanesi, la via dei migliori anni della mia vita trovò sorprendente commento in un disco dei King Cobb Steelie, Junior Relaxer: quella Rational farebbe un figurone come sigla di testa (per quella di coda c'è la versione remix) di un qualsiasi programma sugli anni di piombo – ed io so di cosa ricordo, gli anni di piombo ce li avevo di fronte casa, il covo brigatista dove apparivano, a puntate, i fogli fotocopiati del memoriale di Aldo Moro. Anche in questo caso, scovatela, sentitela, provate tutto l'album: un disco inciso da canadesi nel 1998 può illustrare la violenza politica italiana di vent'anni prima come nessuno. Deathwhish dei Police (da Outlandos d'Amour), da parte sua, non può non essere l'attimo che prelude la sfida: le squadre entrano in campo, i giocatori si uccidono di tensione, lo stadio intero impazzisce e lì dentro ci sto anch'io, ogni volta rivivendo la partita che non giocai mai. A proposito di pallone, i Mondiali dell'82 saranno per sempre – indovinate? - Under my thumb dal vivo, però introdotti da Take the A-train di Duke Ellington. A Largo Murani, dove abitava la mia compagna Paola, c'era, chissà se ancora esiste, un grande muro dove avevano dipinto un immane Jimi Hendrix, la fascia in testa, la chitarra “mancina”, lo spinello e tutto; ma a me risale addosso Le ragazze di Osaka di Finardi, perché era quella che ci piaceva ascoltare dal giradischi fingendo d'esser già adulti. Quella e All my love dei Led Zeppelin, che mi consegna il sole polveroso di pomeriggi su e giù da autobus svogliati. Pomeriggio di maggio, accompagno mio padre in ditta e lui mi dice di aspettarlo “solo un attimo”. Naturalmente fa in tempo ad annottare e non posso che sfogarmi con l'autoradio, così incappo in paterno Claudio Baglioni che mi rivela tutto ciò che mi aspetta: Avrai, e scruto nello specchietto quell'ombra di baffetti: perché mi sento così inadeguato, impotente e destinato solo a fatica, inutile fatica nella mia vita? E perché provo ancora una tenera assurda vergogna per i miei pantaloni rossi del 1983, quando “copiavo” Vasco Rossi di Bollicine? E la paura dell'ignoto la provai davvero con Miss You, che girava e girava nel bar nei pressi del liceo Carducci ma non osavo entrarvi, pieno di drogati che naturalmente ascoltavano la faccenda più adatta. E la paura della libertà sta tutta nella scia di Ancora tu, passata da un Duetto Alfa Romeo alle quattro di mattina quando mi ero perduto seguendo i richiami del mio quartiere mentre mio padre caricava la macchina, destinazione mare. E la noia di crescere s'annida in It's a Shame di Talk Talk, e la voglia di crescere in Wuthering Highs di Kate Bush (un tavolino sul lungomare, tutti a prendere il gelato ma io non mi schiodo dal juke-box) e la paranoia in Enola Gay degli OMD, che il rack inesorabilmente mi ripropone ogni volta che accendo la maledetta radio. E non fatemi sentire gli Antipasti di 1980, che ancora mi piglia il vomito da postumi di festa del sabato sera e come antidoto debbo mettere altro punk, Ha ha ha dei Flipper. Con i Frankie Goes to Hollywood non sono mai uscito dal guado, mi piace o non mi piace Relax? No, non mi piaceva ma, che volete, “allora” era imprescindibile. Solo che non ho più smesso di legarla all'ipocrisia, a quando per diplomazia dico di una cosa il contrario di cosa penso. Cosa sento, invece, non posso mentirlo ed ogni volta che prendo il treno, diretto al nord, non manco mai di portarmi, prima nel lettore cd, poi in quello mp3, adesso nello smartphone, Lift your skinny fists like antennas to heaven dei Godspeed You! Black Emperor: sfila presto la raffineria Api di Falconara, e quella è musica da raffineria e non serve altra definizione, musica dall'orrendo meraviglioso viluppo di tubi, di serbatoi giganteschi, di profumo di benzina, di fiamme sulle torrette, di mare inquinato che specchia il mostruoso colosso industriale. Di questi cortocircuiti ho già scritto tanto, ma non avevo ancora detto, invece, che ogni notte che si stende sulla città, accendendola di lampioni, di fari, di semafori, di lampeggiare irridente di un aeroplano, di lucette rosse sospese su grattacieli disperati, avrà sempre le sembianze di Year of the Cat di Al Stewart. Non chiedetemi perché.

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