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NON RESPIRAVO


Già era una di quelle giornate maledette, dove tutto è prigione e sconfitta, in più mi son messo in testa di tornare in comunità, a trovare Bruno che m'aveva promesso il suo libro fresco di stampa. Bruno, che esce due volte in un anno dalla sua stanza, non c'era. Non ho trovato neanche quasi nessuno di quelli con cui avevo speso il mio anno da obiettore, un quarto di secolo fa. I pochi rimasti, distrutti, annientati. Giuliana, che non stava mai ferma, mi arrancava contro su un girello. Mi ha riconosciuto, mi ha detto: “Ciao”. Tonino, il down dolcissimo, ironico, che avevo anche accompagnato fino a casa sua, a Secondigliano, a Napoli, ridotto enorme pianta senza fronde e senza radici sul seggiolone. Roberto mi ha chiesto: “Torni domani?”. Di colpo ho ritrovato l'orrore per il dolore, il suo rifiuto che in quell'anno avevo imparato ad assorbire. Qui ero cresciuto, avevo scoperto come convivere con la sofferenza e l'ingiustizia e a medicarle anche. Qui ero stato quasi felice, nell'apparente mancanza di regole borghesi mi muovevo a mio agio, come tutti i disadattati. E adesso mi riscoprivo sguarnito, guardavo gli strumenti del dolore, carrozzine, stampelle, padelle e ne provavo angoscia: allora ci giocavo, l'irriverenza che voleva esorcizzare il tormento. Guardavo le smorfie della sofferenza, e non le reggevo. Eccomi di nuovo “civilizzato”, vulnerabile, senza difese e senza risposte. Il cielo s'era pulito, tramontava un bel pomeriggio d'aria cristallina da inalare, ma all'improvviso tutto sembrava livido, tutto mi attaccava e mi minacciava lì dentro. Andare a cercare gli angoli dove tanti fantasmi riposavano, era stillicidio. Sono uscito, tornato al parcheggio, non potevo respirare, non riuscivo a stare in piedi. Avevo paura. Sono montato sulla Vespa e, per dirottare la mente, l'ultima idea sbagliata: dietro la casetta di cemento mai finita, lì, sullo spiazzo dove le prime notti di servizio facevo all'amore con la scout Maria. C'erano due gattini, precisi al mio Nerino e la mia Cleo, ma piccoli, pochi giorni, magrissimi. M'hanno guardato sospettosi poi si sono inabissati sotto le assi di legno che da allora nessuno ha mai spostato.
Non c'è un Dio.

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