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ADESSO CHE NON MI FREGA UN CAZZO


Quanto non mi piace la Stazione di Milano, cosa è diventata. Persa completamente l'atmosfera frenetica e dissoluta che insinuava da fuori, grondava dalle edicole coi libracci improbabili, trascinata dall'umanità più ambigua quando la scopri trafelata, la Stazione col Museo delle Cere, mai visitato, mai osato, cupo mistero, simbolo, imbuto e quintessenza. Adesso è una immane Farinetti-extension, con quel Feltrinelli a tre piani pieno di stronzi sussiegosi che fingono di leggere, le commesse sudamericane sgarbate, il megastore Feltrinelli sopra dove ti senti inutile, il centro commerciale sotterrato dove ti senti in trappola, una sporcizia anodina, trasparente, insapore la Stazione di prima almeno bordello che traspirava. Qui sterile tutto, non trapela niente, non passano i bambini sfiniti su cartoni. Tante cose mi ricordo (chissà se sono vere) tra i viaggiatori, tra i marciapiedi mentre mio padre aspettava esotici clienti, da Venezia, da Roma. Tante sere col mio buon amico Tony a prendere a pugni le cabine per far cadere i gettoni nella sacrosanta rabbia dei barboni, d'accordo, non è il caso di rincorrere i fantasmi, però io lì ho imparato a sognare: in un posto come adesso, la Stazione Farinetti, che t'impari più? È così frigida, così Milano terzo millennio in crisi, aspettando l'Expò, sensibile di una modernità senza direzione, un futuro appassito, presuntuoso e presunto. E unto. È un immenso talk show la Stazione di adesso, che spersona persone, non trova una canzone capace di cantarla ma migliaia d'infami sigle cellulari. Non si avverte il brivido di partire, di tornare, di arrivare, di lasciarsi dietro un viaggio, pezzi di vita, addii e saluti a rimbalzare per sempre, pezzi di morte, stupide coincidenze che non esistono, domande deragliate su cosa ci stiamo a fare in questa stazione senza biciclette che è la vita, noi cerei immoti nella frenesia. Sono retorico, crepuscolare, sono un binario morto ma non sopporto l'implosione di ogni sensazione che mi coglie quando visito un posto qualsiasi che ancora custodisco, che mi custodisce. È il mio mondo che muore, e vorrei solo che un altro, più vivo, ne nascesse.
E poi ritorno in me, ritrovo il sole del mare e non mi basta il sole, non si vive di solo sole, non si vive di un settembre di sabbia che non ti serve più. Perché non sei un fannullone, perché t'annoia l'indolenza di chi estenua l'estate. Perché chiedi di più alla vita, alla tua età. E meno lo ottieni e più lo invochi. T'ingarbugli, a notte fonda, nel video archeologico di Flashdance, c'è Jennifer Beals che danza furibonda e allora tu ricordi, tu sussulti e capisci. Finalmente capisci ogni nebbia. Era l'anno che uscivi dal liceo e ti preparavi a sbocciare del tutto e invece al mare conosci una puttana più grande le caschi nelle cosce e non ti dai più pace finché non la raggiungi e il destino maligno ti allunga una mano togliendoti tutto e io da allora ho sempre vissuto appassito. In debito, in apnea, in paura di perdere quello che avevo già perso, che non avevo mai avuto. Ed è passata la vita e adesso con lo sguardo bofonchiante scruto Jennifer Beals accesa di sudore, adesso sì, che sono padrone di me, ma padrone di che?, adesso che oramai è tardi e chi non sono stato non può compensare chi sono, adesso che sono stanco, e sono stanco di essere stanco, e non mi frega un cazzo e non aspetto niente e niente chiedo, sentirmi in controllo adesso non mi serve, perché io sono chi non fui, sono chi mi è mancato.

Commenti

  1. Una costante sensazione di essere sempre fuori tempo rispetto al mondo. Arrivava settembre e rivedevo le facce che avevo lasciato a giugno, fresche, riposate, rinate, pronte per ricominciare. E io più affannato di prima, con la certezza di aver perso qualcosa per strada
    vit

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