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SOLO UN PADRE


La tristezza è un pretesto, una piuma gentile che si posa sugli anni perduti. Vengo a sapere da un amico comune che è mancato il padre di un compagno d'infanzia e poi di gioventù. Il più vecchio in assoluto, cresciuti insieme fin dall'età della scuola, cinque anni io, sette lui, nel piccolo immenso cortile che fu il nostro mondo nelle migliori stagioni della vita. Poi io mi trasferisco, il distacco, ma mai definitivo: ancora un paio d'anni fa, per una rimpatriata a Milano, litigavamo allegramente di politica. Il padre me lo ricordo, somigliava a Charles Bronson, una quercia con una passione mite, le bocce. Alle due di pomeriggio, cascasse il mondo, lui s'infilava nella 500 rossa dove entrava a stento, raggiungeva la bocciofila Caccialanza e qui dava spettacolo per un paio d'ore. Poi tornava a casa, e riapriva il negozio di scarpe che stava proprio sotto. L'ho detto, che era un piccolo mondo perfetto. E di colpo lui ha 83 anni e muore. Doveva riguardarsi, ma la sua passione non smetteva di chiamarlo. Uno sforzo di troppo, l'ultima bocciata, il buio. 
E di colpo ricordi le giornate, i pomeriggi, le uscite insieme con le rispettive famiglie, Cesare aveva una sorella che adesso lavora in televisione, il padre Charles Bronson imbracciava la chitarra, aveva una voce profonda e dolce. Perché sono finiti quegli anni, perché quel mondo s'è arreso? Cesare è l'unico, fra tutti noi del cortile, ad essere rimasto in quella casa. Facendomi forza ho chiamato il mio amico, sapevo il legame col padre. Infatti era sconvolto. Scioccato, incolpava i medici, gli ospedali, tutto normale. Ci sono passato. Sapevo che aveva domande conficcate in gola, e l'ho anticipato: passerai fasi assurde, incolpandoti di tutto, poi incolpando di tutto il tuo vecchio, per capire infine che non hai perso né un Padreterno né un patrigno. Solo un padre. Scoprirai che è ferocemente vero quello che dicono gli scrittori, che il confine tra l'infanzia e l'età adulta è proprio questo, la radice che secca, la quercia che schianta. Ma imparerai anche un diverso rapporto con l'assenza, trovando nella sua voce lontana le risposte che non hai mai cercato, che non ti aveva mai dato. Custodisci amico mio il meglio di tuo padre e solo quello, altra strada non c'è, altro senso non c'è. E non arrabbiarti se ogni tanto scoppierai in pianto, non stupirti se ti sentirai perso rimpiangendo la 500 rossa, tuo padre che correva dietro alla sua malattia, quelle bocce che l'avrebbero ucciso, e anche me, che crescevo con te, le marce a capo nudo sotto la pioggia per mezza Milano a cercare “i bottiglini”, come li chiamavi tu, da collezionare, le fantasie in cortile per le due sorelle bionde, bellissime, della casa di fronte, che ci facevano sognare, le scemenze per divertirle, le infinite partite a Subbuteo, le canzoni che ci univano e quelle che ci dividevano, le prime corse in macchina e sempre la rivalità tra Milan e Inter con cui ci mandavamo affanculo almeno sei volte al giorno, per poi volerci più bene. Adesso al telefono mi chiedi come si sta quaggiù, è venuta l'ora, dici, di sprofondare nella quiete. Non lo so, non è così semplice, anche di quiete si muore ma tu adesso non pensare a niente, lasciati scorrere addosso tutta la vita andata, i suoi fantasmi, i tramonti quando tuo padre era ogni certezza, ogni promessa e, se devi piangere, piangi.

Commenti

  1. Lacrime agli occhi ... emozione sincera ... grazie Massimo

    Giada

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