e su tutte le piattaforme digitali
Perché l'hai fatto,
perché l'hai scritto così. Perché andava fatto così. Qui ci sono
tre parti e tre modi diversi di raccontare. Cronistica la prima,
polemica la seconda, convulsa l'ultima. E qui ho lasciato uno stile
volutamente immediato, a tratti grezzo, con le ripetizione, i refusi,
non ho toccato niente perché volevo rendere lo sprofondamento.
Questo libro si legge così, tenendo presenti queste poche ma
decisive indicazioni. L'ho scritto anche perché chi lo legge si
senta meno solo. Se io vado fino in fondo nel mio scavarmi, allora
nessuno dovrà vergognarsi di cosa, di dove è. Perché chi vive come
noi si vergogna, si sente in colpa, anche se di colpe non ne ha. Le
vittime si sentono sempre colpevoli. Qui ci sono tanti momenti, ma
l'accusa più grande è verso me stesso. Non finisce questo libro,
non ha un lieto fine, però indica un modo per fare fruttare tanta
fatica, tanti errori e tanta solitudine. Ipotizza un valore da dare
alle sconfitte, forse l'unico; e una direzione possibile per una età
che incede. Un'altra libertà, diversa, inedita. Insospettata. Ho
sempre diffidato di chi si millanta, mi è sempre parso patetico, più
che ammettersi. E poi non è mai vero, molti dicono io sono, io
faccio, ma mica è vero. Ho scritto questo libro per tenerti
compagnia, ancora una volta, anche se sembra impossibile, anche se ti
pare il modo più sbagliato. Ma forse, arrivato in fondo, non ti
sembrerà più così assurdo il grido di uno che dice: io ti capisco,
perché ho già vissuto il tuo abbandono.
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