Passa ai contenuti principali

FACCE DA MUSEO


Il sindaco per allegria Ignazio Marino ne ha combinata un'altra delle sue, è andato a farsi non so che tintura mentre Roma annaspa e poi si è difeso prima mentendo, un impulso che gli è congeniale, poi minimizzando: ma tanto lo fanno tutti. Ha ragione anche lui, poveretto, fosse la vernice sul crapino il più grave dei suoi difetti. E poi è vero che la cosmesi ormai più che una debolezza, è una forza, la prova di un potere, e ricordo una delle primissime canzoni di Renato Zero, del 1973, Make Up Make Up Make Up, un indiavolato rhythm and blues: “Ho sorpreso un vecchio con le ciglia blu”. Praticamente il primo cittadino di Roma in tempi non sospetti. Ma quanti come lui? Ormai il vero provocatore è chi va in giro senza farsi notare, che tutti si voltano e pensano: ma chi si crede di essere quello? Dicono tutti questi vip precotti o presunti: ma mi serve per presentarmi, per offrire una pubblica immagine decente. E lo dice anche il salumaio, il tranviere, il travet, giustamente ciascuno ha il sacrosanto diritto di scatenare l'alter ego che è in lui. E poi, siamo sinceri, che c'è di male se un amministratore si dà un tocco di gioventù, una rockstar firma il suo patto faustiano con lo smalto rosso sangue o una bella attrice investe sulla sua eternità? Anzi è quasi sempre una scelta obbligata, lo show business non accetta le devastazioni, a meno di saperle indossare come Keith Richards. Solo che poi li guardi, tutti quei naufraghi di quell'Isola dei famosi che è diventato il mondo, e qualcosa nel loro make up non ti convince: sotto il fard, neppure un'ombra d'ironia, tutti così dannatamente convinti, qualche imbecille che si spaccia per giornalista arriva a definirsi con orgoglio malato di narcisismo e schiavo dei trattamenti estetici. E allora capisci tutto: questi non sono né rockstar né dive, hanno capito che debbono tirarsela perché la gente è ingenua, chiede solo di essere ingannata, ma in realtà sono facce vacue, orfani di un carisma, anime morte e imbellettate come statue del Museo delle Cere: le loro pelli da trota salmonata non hanno niente da offrire tranne le loro proiezioni, non possiedono talento, non rendono felice nessuno. Quello che dovrebbe essere un punto di partenza, la maschera “perché la vita mia non mi riconosca e vada via”, in loro è un traguardo inesorabile e fine a se stesso. Eccoli lì gli apostoli della realtà virtuale, realtà che non c'è: posano, ti guardano, ti sfidano. Ma il loro specchio è bianco, dietro quelle improbabili acconciature e abbronzature sta il patetico conato di camuffare il nulla, di enfatizzare l'inconsistenza. E poi, fateci caso, non sanno neanche scegliere l'aspetto giusto: tutti così grotteschi, così patetici se li spogli dei riflettori. A forza di orpelli cancellerai te stesso, dov'era un vuoto lasci un vuoto.

Commenti