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UN AMICO INSOSTITUIBILE


"Cent'anni fa, un vagito: nasceva la poesia. Lugano Bazzani s'affacciava al mondo il 16 maggio del 1916 e, dopo una infanzia ferita, dopo averne assaggiato qualche spicchio, di mondo, ramingo nell'adolescenza, avrebbe deciso che poteva bastare, che mai più si sarebbe distaccato dall'amata Porto San Giorgio, culla, rifugio, sfondo esistenziale. l'amata San Giorgio dei viali, delle sabbie, dei pini, dei "vezzosi villini liberty" che gli accendevano scintille. L'amata San Giorgio che lo conteneva e che tutta egli conteneva in sè, fino a cantarne gli angoli di meraviglia. Per sempre avrebbe custodito anche le ferite del sanatorio, propellente per liriche sempre più limpide e sincere: frequentatore assiduo del dolore, non rinunciava mai al sorriso; spaesato agganciato al suo paese, non s'illudeva circa la pesantezza del vivere, riscattata sempre con levità d'anima. La casa, tra piazza Torino e il mare. La famiglia, la devota Maria, i figli Terenzio e Alfreda. L'amata San Giorgio, che ci metteva un po' ad accorgersi del suo Cantore, ma Lugano non aveva fretta: "A me basta soltanto la poesia". Intanto però allacciava corrispondenze di stima e di affetto con Mario Luzi, con Giorgio Barberi Squarotti, con Ferruccio Ulivi e con cento altri, tutti convinti nel rivolgergli ammirazione senza riserve. E s'affacciava, dalla sua casetta e capiva tutto: "Dalla strada giunge/Un ansito nuovo/Che nessuno ascolta/Se non chi, come me/Sa tutto intero/Il dolore di vivere".
Di quegli attestati grandissimi non si vantava Lugano, così come non lo esaltarono i primi riconoscimenti, piovuti già in maturità e poi, dagli anni Settanta, sempre più copiosi: il busto di bronzo di se stesso, lui lo usava per lasciarvi il cappello, dopo una passeggiata rigenerante, lo spolverino candido, per i suoi viali, i villini poetici. "Io non sono una parte di voi.../Io sono me stesso/Con tutta la mia miseria/Con la forza d'essere se stessi". Gli universi abitavano in Lugano, poeta civile, intriso di passioni civili, ma che dall'uomo partiva e all'uomo ritornava sempre: "Altrimenti, è tutto inutile". Questa la sua vita, sino alla fine, verso e sorriso, fitta e doni a profusione per chi aveva la fortuna d'incontrarlo, per non lasciarlo più: doni d'arguzia, di nobiltà, di di sorpresa, di quella trasgressione pura e umile che è solo dei rari poeti dell'esistere. Uno che se ti vedeva passare a notte fonda, sbandato sulla bicicletta, non ti chiedeva, come il resto dell'umanità, "Ma che ci fai in giro a quest'ora?", ma ti contagiava: "Vieni su in veranda, parliamo della vita". E a sentirlo divagare, non t'accorgevi che s'era fatta l'alba fino a che lui stesso non ti sorrideva: "Adesso è tardi, adesso vai a riposare". Lo lasciavi allora, sulla sua veranda, a guardare in un nonluogo dove lui solo poteva andare. Il posto senza confini dove niente è detto e tutto parla alludendo, suggerendo.
"Al margine della vita/Assaliranno i ricordi/Col rapido susseguirsi/Di sembianze e parole./Così parrà si rinsangui/La sbriciolata esistenza./Per chi tutto ha smarrito/Iddio sarà sempre l'ora perfetta". L'eco di quell'ora perfetta lo chiamò il 9 ottobre del 2003. Lunga, mai sprecata: fino all'ultimo Lugano cerco, trovò illuminazioni di parole. Poeta prezioso, amico inestimabile, non lascia eredi nella complicata arte di far rifluire la poesia nella vita, e viceversa".
Massimo Del Papa
(il Resto del Carlino, domenica 15 maggio 2016)

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