A questo punto non dovrei parlare più
di Giuliano Clerico perché siamo diventati amici. Lo faccio lo
stesso: ancora un disco, e la finiremo tutti di parlare di eredità
di Rino Gaetano, Celentano giovane, Jannacci giovane. Nomi
giustificati, intendiamoci, nomi che affiorano ancora: il fatto è
che Giuliano, quasi senza farci caso, sta raggiungendo se stesso e
già col freschissimo "L'uomo tigre ha fallito" si smarca
da chi era appena ieri. E', quest'album appena nato, disco amaro,
amarissimo, che non fa benissimo: amareggia, sconsola, a volte
sconcerta, a volte raggela. E' una risata lugubre e oscura come la
boccaccia di una strega. Disco, bisogna aggiungere, molto bello fin
dalla copertina, di apparente semplicità, come sempre imperniato
sulle chitarre (dell'autore), ma poi con tutta una trama di
soluzioni, di effetti, classico caso di necessità che aguzza
l'ingegno. Partendo dai sapori mediorientali, quasi zeppeliani
dell'introduttiva "Cadenza", via via le nove tracce si
sparpagliano incontrando fantasmi battistiani, echi di Badly Drown
Boy e di Blur, inflessioni di folk tricolore, ballate da fine del
mondo, col picco del "Valzer degli Zombi" che è forse il
momento più riuscito e più doloroso. Disco cupo, lugubre, senza
nessuna voglia di consolare, cioè di mentire, senza le sfuriate rock
del precedente ma che scava di più, arriva dove non vorresti e lo
senti che fa male. Sempre con quella svagatezza, quella leggerezza
apparente di chi vede il mondo in tutta la sua cattiveria e tale lo
restituisce. Nella sua levità, Giuliano, che la musica la conosce,
inserisce un tritono, una cadenza, un'armonia beffarda e lugubre,
come nella inquietante "Le scimmie", sorta di ridda
rallentata, poi sembra mollare la presa ma è solo l'illusione del
rifiatare, chè subito gira una "Roulette Russa" ricamata
da un tragico flauto dolce - c'è un video, di Giuliano a spasso per
scorci di metropoli e brume di bosco, che è da vedere. Disco di
denti rotti, di bocce cucite dal fil di ferro, di difetti ed ematomi
e cicatrici, e tutto per cantare la sconfitta definitiva degli eroi:
"L'uomo Tigre ha fallito", e non c'è seconda occasione
(anche qui è in arrivo un video, tetro e divertente, al quale mi vanto
d'aver partecipato: ci siamo molto divertiti, anche perché me ne
sono uscito con una soluzione assai poco convenzionale, che è parsa
funzionare bene). Dove vuole arrivare Giuliano? Io non gliel'ho
chiesto, e non credo lui si ponga il problema. Penso piuttosto che si
lasci crescere, smentendo ad ogni ritorno chi lo considera uno
scanzonato goliarda: nelle sue canzoncine infettive e tremendamente
serie (e assai ben fatte), cantate col disincanto di chi invece ha un
cuore pulsante, c'è molto di più. Quello che manca, vivaddio, è la
pedanteria, Clerico non deve clericizzare nessuno, ha una sua
visione, più scettica che cinica, più disincantata che spietata, e
quella mette in musica. Ma, per la prima volta, il sarcasmo non è
più di reazione, diventa arma deliberatamente puntata, fatta di
paradossi, di ingiurie, di chitarre crude, di ritmi sornioni, di
tastiere affilate. Opera fatta con pochissimi denari ma ricca di
spunti e di intuizioni che tanti pompati neanche si sognano. Si
invecchia, caro Uomo Tigre, l'importante è farlo bene, consapevoli
che i nostri fallimenti sono i nostri figli, e ce li siamo
conquistati con sanguinosa intransigenza.
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