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OGNI SVOLTA UN ADDIO


Guardo un cavalcavia dell'autostrada e penso che ogni tanto vorrei cambiare aria anch'io, come quando da bambino partivamo alle 4, che poi le quattro non erano mai, e ogni anno Gamma Radio metteva in successione “Pop Corn” e “In The Summertime”, mio padre partiva, la 125 che chiamavo "cazzo storto", per la marmitta ricurva, arava l'asfalto, strapiena com'era, ad ogni svolta era un addio, a Melegnano già albeggiava e non vedevo l'ora di fermarmi a far colazione all'autogrill perché mi piaceva il profumo del cappuccino, il suo sapore. E poi mi ha sempre eccitato il viaggio, i posti dove si parte, si arriva, la gente che passa e va. Dio quanto amavo la Stazione Centrale. E quando si arrivava era un altro mondo e per i primi giorni sarei vissuto sospeso, tutte atmosfere nuove o meglio ritrovate, gli spazi fisici da misurare nella stanza della pensione, le strade da conoscere e il mare. Il mare, che è sempre acqua ma non è mai lo stesso, già da Miramare a Porto San Giorgio cambiava. Anche dopo, nella casetta del mare a Casabianca, era delizioso riambientarsi, piccola la camera da letto con mio fratello, troppo silenziose le strade, così strani quei panorami per uno che fino al giorno prima, affacciandosi, trovava la confusione urbana. Tornare era la stessa cosa, ci volevano giorni per riabituarsi alla casa, alle dimensioni della solita vita, al quartiere che tornavo a cucirmi addosso, alla scuola che mi attendeva, alla città che mi esigeva.
Adesso son 35 anni anni che son via, in posti piccoli, a misura d'uomo li chiamano, e non mi muovo, mai una vacanza, l'estate passa lavorando e meno male, questa noia che mi consuma posso metterla a cuccia solo in mezzo a un evento, come sabato presentando le auto storiche. Ecco, posso dire di avere sempre trattato ogni occasione come uno spettacolo, fossi protagonista, comprimario o conduttore: lì, dentro nella luce, il tempo non esiste perché tutto è già passato, il primo istante si salda all'ultimo, quello che amo di più è la vigilia, con i suoi problemi, gli imprevisti, i guai, quando tutto si carica. Lo dicevo anche a Beatrice, che mi accompagnava, e lei capiva: vive le stesse emozioni. Ci si trasforma su un palco, non importa per far cosa. Sparisce tutto il resto e ti senti di esistere. Ma chi l'avrebbe detto però, consumando svagato questi luoghi, che un giorno sarei stato lì, col microfono in mano, a intrattenere. Chi l'avrebbe detto che questi posti mi sarebbero appartenuti mentre appartengo a un pubblico. E se ci sono queste occasioni l'estate scorre, altrimenti è un dramma per me, che non cambio mai aria, che aspetto di viverla l'estate e lei m'inganna, mi tradisce e fugge. Disilluso d'estate, nella solita aria, senza viaggiare mai, resto qui a scrivere la mia nostalgia, confidando che altri la raccolgano; chissà poi se riesco a spiegare, se il mio abbandono è va bene per chi lo legge. Io non ho che questo per raggiungerti, pensieri e parole che si materializzano e volano, almeno loro, cambiano aria, s'infilano dove non immagino. E se ancora una volta torno a raccontarti di questo, è perché ogni volta è più faticoso ritrovarsi bambini, sempre più sbiaditi quei viaggi antelucani col l'impercettibile chiarore che raggiungeva i tetti più alti e si partiva, e Milano Lambrate ai miei occhi era New York.

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