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LA NOTTE MI CHIEDE



Sono tornato in crisi. Ci ho messo un po' di più, perché i giorni scorsi avevo da fare, ma a febbraio prima o poi l'apnea mi raggiunge. Come da ragazzo. Come ogni febbraio. Allora cullo nel vortice due o tre canzoni, non dirò quali, italiane, lontane, sempre le stesse che mi riportano quello che ho perso. La felicità quando non la conoscevo, non sapevo esistesse e non mi ponevo il problema di provarla. La felicità era la vita stessa ed era anche soffrire. È là dove correvo, quello che mi scorre davanti e indietro quando torno, ed io, ogni volta, il naso schiacciato contro il finestrino del treno. Come volessi rubarmi un'immagine che è sempre la stessa, dura un attimo, e ogni volta sanguina di più. È quella che mi viene addosso la notte, quando mi sento più inutile, e penso che forse c'è rimasto ancora troppo tempo per resistere, ma troppo poco per sentirmi vivo. Non piacerò mai più a nessuno, men che meno a me stesso, cadrò sempre più a pezzi, starò sempre peggio di così. Tra poco, sarò un vecchietto decrepito, e quel poco dura talmente poco che, lo stesso poco fa, io ero già adulto, più che adulto. Era ieri. Ed io non sono pronto per tutto questo. Mi sento fragile, ferito. Intanto cerco d'agitarmi ancora e sempre più, cerco di dire la mia, cerco d'illudermi che non è finita. Ho lasciato un segno del mio passaggio, almeno un giorno? Ho creato un barlume di dignità, uno spettro di gioia o di consolazione, almeno per qualcuno? Ho un alibi per sentirmi reale? Ma la notte, la notte. A cosa è servito tutto questo, la notte mi chiedo. La notte mi chiede. È febbraio e sono in crisi, e quello che ho perso è l'unica cosa che rimane. L'inverno è cristallizzato nelle mie coperte, nei miei vestiti, nelle mie notti di occhi aperti nel buio, notti d'ossa, di case stregate al luna park, di non sapere più come mentire quando torna il giorno.

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